L’ inconscio valore di un simbolo
è ancora vivo nel dono del proprio sangue
Il Tempo 4/11/1956

Dai riti oscuri dell’antichissima magia e dalle cerimonie di religioni e razze diverse, deriva il particolar significato dell’odierno atto di umana fraternità – Il«sindur dan»· in vigore presso le tribù degli zingari

Il «dono del sangue» – di cui tanto si parla attualmente in relazione alle drammatiche vicende ungheresi – non sembra potersi paragonare alle più consuete (e pur tanto lodevoli e utili) offerte di denaro, di panni o di vettovaglie. Per la persona più semplice come per la più colta, donare il proprio sangue si carica di significati emozionali e simbolici, la cui origine è in buona parte inconscia.  L’atto non saprebbe definirsi mediante generiche considerazioni umanitarie, e meno ancora potrebb’essere descritto in puri termini fisiologici e biochimici. Chi dona il sangue sente una particolare emozione, descrivibile soltanto per immagini. Una signora napoletana, che aveva al suo attivo più di trenta trasfusioni, disse anni or sono, parlando di coloro a cui aveva dato il proprio sangue: «Mi sembrano tutti figli miei!».
L’atto di porre insieme e mescolare, anche in dosi minime, il sangue di una persona con quello dl un’altra, sta notoriamente alla base di riti e cerimonie rintracciabili presso i popoli più diversi. Il tipico, tradizionale «patto di sangue» si svolge praticando un’incisione nel braccio dei singoli partecipanti, i quali, poi, o succhiano la ferita degli altri, o la strofinano con la propria. Qualche volta il sangue comune viene raccolto in una coppa, diluito con acqua o con vino, e dalla coppa tutti poi bevono a turno. Il rito può servire a rendere sacra un’amicizia, a costituire una fraternitas, e via discorrendo: ma è particolarmente diffuso (e ancor oggi vivo in certe aree di cultura) come parte essenziale di cerimonie matrimoniali. Anche attualmente gli Zingari, nell’unirsi in matrimonio, ripetono con qualche variante il rito del sindur dan, originario dell’India da cui provengono: presso i Kewat indù usava infatti trarre un po’ di sangue dal mignolo destro dello sposo e da quello sinistro della sposa; il sangue veniva posto in una scodella contenente riso bollito e latte, ed entrambi gli sposi mangiavano il cibo cui era mescolato il sangue dell’altro.
Usi del genere, o da essi chiaramente derivati, sono stati accertati fra gli Arabi come fra gli Australiani, presso i Finlandesi come presso i Siamesi. Ovunque il dare o ricevere sangue ha assunto chiaramente il significato di trasmissione di amicizia, di affermazione di lealtà reciproca, di unione e fedeltà perenni. E tale significato è vivo tuttora, anche in chi ben conosce quello realistico e concreto di una trasfusione!
In prima approssimazione, si potrebbe ritenere che il carattere vincolante degli anzidetti usi rituali abbia a che vedere con la natura stessa del sangue – sostanza vitale per eccellenza. Rimane tuttavia il fatto che nei riti, non avviene davvero una «trasfusione di sangue» nel senso moderno e clinico del termine: si tratta, al massimo, di qualche goccia. E’ evidente perciò, come accennato, che al sangue vengano comunemente attribuiti ulteriori significati: allusivi, simbolici, magici. Il sangue, anche in piccola dose, è sentito come rappresentante e parte della persona da cui proviene, in ciò ch’essa ha di più intimo e di più essenziale: è così, al tempo stesso, un messaggero e un sostituto. Perciò, in molte zone del mondo, esso è tuttora usato nei filtri e nelle magie d’amore: si ritiene di poter avvincere perennemente a sé la persona amata se si riesce a inocularle o a farle bere un po’ del proprio sangue (ossia, nella fantasia inconscia, a «entrare» permanentemente in lei…).
In ultima analisi il sangue come altre sostanze o liquidi animali, può essere inconsciamente sentito quale «fluido vitale», le cui possibilità di azione non sono affatto confinate alla sua quantità fisica, o alle condizioni stesse del mondo materiale. Anche staccato dal coro, esso conserva, in certe superstizioni e nel «pensiero magico», legami e rapporti con la persona totale, cosicché si suppone che determinate azioni, esercitate su dosi anche minime di sangue versato, si ripercuotano su chi l’ha sparso. Presso molti popoli, infatti, il sangue comunque versato dev’essere trattato in determinati modi, e non altrimenti, affinché colui da cui proviene non· abbia danno… Il sangue è dunque, a livelli primitivi di pensiero, abbastanza analogo al «fluido magnetico» di Mesmer e o al «corpo sottile»· di certi occultisti: un mezzo, cioè, attraverso il quale si possono esercitare particolari e misteriose influenze sugli esseri, manovrandolo a fini sia di bene, sia di male. Alla base di tutte queste credenze stanno probabilmente certe fantasie infantili a relative alla sessualità – fantasie nelle quali domina il motivo del «mescolarsi di due liquidi». I meccanismi della rimozione e dello spostamento hanno variamente trasformato, anche in zone di cultura arretrata, le fantasie primitive, ritualizzandole e socializzandole nei modi considerati più opportuni e rassicuranti.
Le nostre brevi considerazioni su certi aspetti rituali della donazione o dello scambio del sangue possono contribuire a spiegare certi elementi emozionali – sia nel dono, sia, e più ancora, nella superstiziosa riluttanza a donare – che circondano questo particolare tipo di offerta: della quale, beninteso, noi vorremmo fosse maggiormente sentito il consapevole altruismo, insieme con il preciso valore medico ed umanitario.
Ci sembra, anzi, che questo suo altissimo valore dovrebbe mettere in più chiara evidenza lo affermarsi del pensiero razionale, dell’esame di realtà e della sublimazione, di fronte alle esigenze oscure e irrealistiche del nostro inconscio.
Emilio Servadio

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