L’uso degli stupefacenti: un problema «da studiare»
Intervista con il prof. Servadio
Paese Sera 23 aprile 1968

Il prof. Emilio Servadio, presidente della Società Psicoanalitica Italiana ci ha concesso queste dichiarazioni:

SERVADIO: Ho l’impressione da molti anni che nella massima parte dei casi si scrivano delle cose per sentito dire, senza precisa informazione e senza aver curato quell’avvicinamento culturale e scientifico al problema che dovrebbe essere la piattaforma da cui muoversi. E’ inutile scagliarsi contro qualche cosa senza aver valutato bene che cos’è.

GRIMALDI: Un comitato speciale dell’ONU ha recentemente sentenziato che le droghe definite « leggere », come marijuana e LSD, debbano essere mantenute nell’elenco delle sostanze proibite, al pari degli stupefacenti. Cosa ne pensa?

SERVADIO: Quella di bandire in modo così totalitario sostanze, senza tener conto dell’applicazione che potrebbero avere in campo medico, è indubbiamente un errore molto grave che mette in imbarazzo gli studiosi. A proposito dell’LSD la situazione degli uomini di scienza è diventata difficile a due livelli: sul piano pratico, perché anche per uno studioso serio è molto difficile ottenere LSD che dia garanzie di essere quello che dev’essere, ossia prodotto con la necessaria purezza di fabbricazione: e sul piano ideologico perché oggi la levata di scudi è tanto massiccia ed indiscriminata che uno studioso il quale si occupi dell’LSD per i suoi scopi scientifici viene additato come uno che « indulge » a qualcosa di nefasto, di proibito e di repellente.
Il legislatore italiano si è uniformato alla prassi internazionale. L’LSD è stato classificato alla stregua degli stupefacenti, pur non essendolo. Dal punto di vista tecnico e farmacologico lo LSD e gli altri psicodisleptici non sono stupefacenti. E’ noto, ad esempio, che né l’LSD, né la marijuana danno assuefazione, come è invece il caso con i veri stupefacenti: cocaina, eroina, morfina, ecc. Inoltre, il loro potere tossico è molto basso. Non si può perciò affermare in assoluto che la marijuana « dannosa ».
Il dott. James Goddard, direttore della Food and Drugs Administration (FDA.) degli Stati Uniti, ossia dell’ente che controlla la sanità pubblica americana· ha dichiarato: « E’ discutibile che la marijuana sia una sostanza più pericolosa dell’alcool; a mio avviso non lo è. E’ vero che molti i quali usano eroina hanno fumato marijuana, ma è anche vero che la maggior la parte di essi ha bevuto latte. Non ho alcuna prova che vi sia un rapporto tra le due cose ».
Ora, se si tiene conto che queste parole vengono da un uomo di grande responsabilità ascoltato da tutta una nazione si può capire che, casomai, esse peccano per eccesso di cautela e che pertanto si può dare ragione a coloro i quali vorrebbero che l’uso della marijuana non fosse sottoposto a leggi più severe di quelle che regolano, per esempio, il consumo di sostanze alcooliche. Potrei citarle ancora molte autorità. Ecco ciò che dice il dott. Joel Fort, direttore del Centro per il trattamento dello alcoolismo in California, professore aggiunto della Scuola ci criminologia all’Università di California e consulente sulle tossicomanie presso l’Organizzazione mondiale della sanità: « La marijuana a differenza dello alcool, non produce neppure con uso prolungato ed eccessivo un’assuefazione o un danno fisico irreversibile all’organismo, benché possano verificarsi casi di dipendenza, di abitudine, e forse, effetti tossici. Ma non vi è prova scientifica di un vero e proprio danno o pericolo allo individuo o alla società ». Il nostro cattedratico di farmacologia all’università di Roma, professor Pietro Di Mattei, pubblicò sulla «Stampa»· di Torino un articolo in cui è detto: « La soppressione brusca dell’uso della canapa in tante migliaia di soggetti non ha provocato sconcerti apprezzabili, né psichici, né fisici » . Questo basterebbe a di mostrare che la marijuana non é uno stupefacente e non dà assuefazione. Poi il prof. Di Mattei cita la grande inchiesta del sindaco La Guardia a New York sulla marijuana che conclude: «L’accurato e complesso esame medico dei soggetti abituati all’uso della marijuana non ha rivelato alcuna condizione fiato logica o disordine delle funzioni cerebrali ».
Quindi, dal punto di vista farmacologico e medico, si può ritenere che vi siano stati notevoli errori di valutazione nei riguardi della marijuana. Però io capisco quelle autorità che affermano la necessità di erigere una diga nei riguardi di persone che possono avere in partenza tratti di debolezza o di anormalità psichica e che potrebbero trovare nell’uso eccessivo di marijuana o di altre sostanze elementi atti a potenziare quanto già esisteva in loro. Ma io penso che se si prendessero degli individui più o meno normali e si dicesse loro di fumare una o due sigarette alla marijuana al giorno per un mese, due mesi, tre mesi, a queste persone non verrebbe proprio alcun danno.

GRIMALDI: A queste sostanze si muove spesso l’accusa di alterare il giudizio, distruggere i freni inibitori, scatenare istinti pericolosi…

SERVADIO: Un delitto lo può compiere un vegetariano astemio e morigerato. Ma si può anche delinquere mentre si è sotto la influenza di qualsiasi droga, a esempio dell’alcool, come ben sappiamo. Quindi, istituire a rapporto di causa ad effetto tra l’uso di un determinato allucinogeno e un delitto è discutibile. Un altro punto che vorrei sottolineare è questo: molte volte si dice che certe persone hanno avuto dei danni alla salute perché avevano esagerato nello uso di LSD di marijuana, ecc.
Accanto all’ormai assai ristretto « mercato ufficiale », abbiamo un mercato nero dell’LSD il quale trova le sue fonti in laboratorietti in cui la sostanza si fabbrica con mezzi spesso di fortuna, alla chetichella ed alla carlona. E allora quando si dice: la tal persona è stata danneggiata dall’LSD, ci si dovrebbe domandate: quale LSD? Secondariamente, la persona che è stata apparentemente danneggiata dall’uso di questa o di quel sostanza, che cos’era prima? Quale è la sua ascendenza? Era un malato? Di che tipo? Ha subito operazioni? Era un pre-psicotico? Non si sa neppure, di solito se avevano preso altre droghe, e di che genere. Come si può dare un giudizio?

GRIMALDI: Ritiene che l’opposizione all’uso anche scientificamente controllato dell’LSD e della marijuana abbia radici di carattere morale e psicologico?

SERVADIO: Non c’è dubbio che l’LSD eserciti una pressione sulla cintura difensiva dell’apparato psichico e quindi metta soggetto di fronte a un « cimento » piuttosto notevole. I meccanismi psichici di difesa dell’individuo vengono messi a repentaglio e non a caso é stato adoperato per l’LSD e simili sostanze il termine «psichedelico» o « psicodelico », che vuol dire « rivelatore della psiche ». Di fronte a questa messa a nudo di certi suoi aspetti interiori, l’individuo può reagire consentendo. Oppure può opporsi reagire con manifestazioni che possono andare da lieve insofferenza fino alla più profonda angoscia.
Di fronte all’LSD l’individuo si trova un po’ come di fronte ad un mare aperto. Ora, buttarsi in un mare aperto può essere un’esperienza entusiasmante per chi abbia superato certe resistenze, sappia nuotare e comunque consideri questa esperienza come qualcosa che può dargli effettivamente nuove aperture. Ma c’è anche l’individuo inibito, rigido, che si angoscia davanti alla possibilità di « dilatarsi » in un’esperienza psichedelica. E così pure su scala collettiva abbiamo i due estremi: da una parte le conventicole ed i gruppi che hanno fatto dell’LSD un’insegna mistica, un veicolo – essi credono – atto a fargli raggiungere stadi quasi transumani; e, dall’altra, una spiccatissima repulsione, un orrore sacro. Questo vale naturalmente anche sul piano sociale o socio-politico. Non per nulla gli hippies hanno fatto di queste sostanze un po’ la bandiera dell’attacco che sferrano all’Establishment.

GRIMALDI: Dal punto di vista psicosociale, quale spiegazione ritiene di poter dare al fatto che tanti giovani abbiano eletto la marijuana, a preferenza dell’alcool e di altri stimolanti tradizionali, come la risposta a problemi che travagliano la loro generazione?

SERVADIO: Bisogna riferirsi al termine « psichedelico ». Se le sostanze possono avere una notevole utilità di scoperta ed esplorazione di se stessi, ciò dovrebbe avvenire sotto la guida di qualcuno. Tuttavia si può capire che se anche adoperate a casaccio, esse possano talvolta fornire una certa evidenza in tenore di qualche cosa che ci appartiene e che prima non ci era chiaro. Ciò non è dato né dall’alcol, né dagli stupefacenti e si può perciò capire che possa attirare i giovani speranzosi di trovare in tal modo delle «verità» che non hanno altrimenti ottenuto. E’ chiaro che se i giovani in questione avessero semplicemente desiderio di stordirsi, di inebriarsi, non si rivolgerebbero agli psicodisleptici, ma all’alcool e alle vere droghe. Il che vuol dire che un grano di salute in loro c’è e che si tratta di una esigenza più motivata di quanto comunemente si creda.

GRIMALDI: Molti affermano che le conseguenze della marijuana siano in genere meno perniciose degli effetti che ha avuto sugli uomini la civiltà dell’alcool.

SERVADIO: Appunto. Certi fenomeni di massa ci sembrano normali perché li abbiamo integrati a livello sociale, mentre se li consideriamo dal punto di vista di un altro pianeta li giudicheremmo aberranti. Accettiamo tranquillamente il modo di comportarsi di un pubblico di fanatici allo stadio, ma se venisse un abitante di Marte, direbbe che si tratta di 40.000 pazzi· scatenati. Nel caso dell’alcool e abbiamo qualcosa di simile. E’ entrato nella società e lo possiamo adoperare senza incorrere in pene particolari. Invece le sostanze psichedeliche sono nuove, non sono state integrate, non sono state ancora consacrate in alcun modo: quindi, reazioni scandalizzate e scandalistiche. Naturalmente occorre considerare anche la somma di interessi economici che fanno capo all’industria degli alcoolici, la quale si difende nel modo più energico influenzando stampa, televisione ed organi vari.

GRIMALDI: Cosa prova, professore, davanti ai recenti casi di quei giovani studenti ed artisti i quali sono carcerati perché sorpresi con qualche grammo di marijuana, cioè intesi ad un’esperienza che altrove è di buona parte della loro generazione?

SERVADIO: E’ una cosa assai triste. Tutto si può dire, ma non che agire in questo modo contro di essi possa loro fare del bene.· Si fa loro invece un male certamente superiore a quello, sempre ipotetico, che potrebbe derivare dai pochi grammi di marijuana che hanno fumato. Si fa di questi ragazzi dei pregiudicati, degli individui che hanno avuto una condanna penale. E sappiamo che cosa ciò possa significare, in Italia, come altrove.

(III . Continua)

Le precedenti puntate sono state pubblicate il 9 e il 19 aprile.

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