Nella curiosità del futuro si nasconde il desiderio di un mondo fatto per noi
Che cosa ci porterà l’anno prossimo?
Il Tempo 24/12/1956

Moltissimi giornali e periodici pubblicano in questi giorni come di consueto, le previsioni e profezie per l’anno venturo, dovute ai principali maghi, indovini e astrologhi nostrani. Solo qualche malizioso giornalista si è divertito a rievocare le analoghe dichiarazioni dell’altra volta, relative a quel che sarebbe avvenuto nel 1956, e a confrontarle con quanto è successo realmente… I risultati di questo controllo postumo sono stati, beninteso, scoraggianti: ma occorre ricordare che nessuna smentita di circostanze, nessuna dimostrazione o critica razionale è mai servita a far diminuire la curiosità e l’interesse dei più per individui e metodi da cui si possa sperare una qualche conoscenza del futuro. E’ sin troppo evidente, infatti, che i vari maghi e profeti non sentirebbero il bisogno di dir la loro su ciò che avverrà nel prossimo anno se larghe masse di individui, continuamente e periodicamente, non lo desiderassero o non lo gradissero.
Questa diffusa esigenza aumenta, come è noto, in fasi o momenti « critici » della vita individuale o collettiva. La persona che professa di « non crederci » può talvolta essere sorpresa a leggere il proprio oroscopo nel quotidiano preferito, se la giornata o l’indomani si annunziano insoliti, problematici o pericolosi. In tempi di complicazioni e di allarmi internazionali, si presta più facilmente orecchio a ciò che gli indovini e i maghi dicono di « vedere ». Una di tali tipiche situazioni è quella, periodica, di ogni fine d’anno – in cui tutti fanno una sorta di bilancio dell’annata trascorsa, e si sentono più o meno come chi si accingesse al primo passo su per una nuova lunga scala fatta di 365 gradini. Che cosa s’incontrerà durante la salita? Come e in quali condizioni arriveremo in cima?…
Ogni fine d’anno è di fatto sentito dai più, psicologicamente, come una « svolta », è ciò si accompagna alla speranza, e all’aspettativa, che qualche cosa di veramente « nuovo » e migliore accada a noi stessi e nel mondo in cui viviamo come acutamente indicò il Leopardi nel suo celebre « Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggero ». Questa speranzosa attesa si unisce e si somma al desiderio di potere in qualche modo sollevare un lembo del velo che ancora ricopre tali « nuove » vicende: e ciò corrisponde al più diffuso e generale desiderio, che l’uomo ha sempre nutrito, di arrivare al « sapere » attraverso vie misteriose e dirette di conoscenza, diverse da quelle faticose del pensiero razionale e scientifico.
Le origini più profonde di queste necessità affettive così comuni e sentite sono, come sempre, da ritrovarsi nella parte meno razionale e meno cosciente della personalità umana. Il desiderio generale di « conoscere » per vie occulte e sopranormali proviene da una non completa accettazione, anche da parte dell’uomo adulto· e civile, di quei limiti e condizionamenti spaziali e temporali cui da bambini abbiamo dovuto poco a poco adattarci, ma ai quali nell’inconscio nessuno, forse, ha completamente rinunziato. Il bambino piccolo che crede, tendendo la mano, di poter acchiappare la luna, sopravvive nell’inconscio dello adulto, anche se già da bambini ci è stato fatto constatare che la luna è lontana e inottenibile. La negazione del succedersi delle ore e dei giorni, e della necessità dell’attesa – negazione ravvisabile nell’ « adesso subito! » del bambino – sussiste in molti « grandi » i quali mostrano anch’essi, con il loro atteggiamento, di non riconoscere se non in parte le ferree leggi di Crono. Saper attendere, accettare la successione degli istanti o degli anni che scorrono al di fuori di noi, equivale in fondo ad ammettere tutta una serie di « separazioni » e di « distinzioni » cui l’uomo, nella sua evoluzione psichica, è obbligato, ma che nelle latèbre dell’inconscio continua più o meno largamente e pervicacemente a voler smentire: separazioni successive da un presunto « paradiso » prenatale, dalla matrice, dal seno,· dalla mano sostenitrice e dall’appoggio dei genitori, dalla casa natale…; riconoscimento, infine, di essere staccati, non protetti e « diversi » in una natura indifferente. Nessuna meraviglia che di quando in quando si faccia sentire la voce dell’inconscio, e che il desiderio di superare le inflessibili barriere del futuro, di «non dover· aspettare», coincida con quello di ritrovarsi protetti in un mondo fatto per noi, senza individuali responsabilità, ed in cui il divenire e il tramontare delle umane cose, e il traguardo finale della morte, sono smentiti a favore di una perenne, insopprimibile illusione di eternità.
«… Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, si principerà la vita felice… »
Così il « passeggero » leopardiano. Ed è chiaro, al lume di ciò che oggi c’insegna la psicologia del profondo, l’intuitivo accenno del sommo scrittore al mondo dell’inconscio. La « vita che non si conosce », la « vita felice », è quella che esiste in potenza nelle nostre inconsce fantasie, è la vita in quella « terra di latte e miele » che ci sembra di aver abbandonato e a cui vorremmo tornare, è il mondo prelogico e pre-dialettico in cui vige l’onnipotenza del pensiero infantile. A ogni chiusura d’anno, il senso che non siamo onnipotenti, che non possiamo sapere ciò che ci riserba l’anno nuovo, sembra diventare più vivo e acuto. A chi ricorrere allora, se non a coloro che professano, con energia e autorevolezza, di essere in grado di lenire sia pur poco le nostre ferite d’orgoglio, il nostro narcisismo offeso, e di ridarci una dose anche piccola di fiducia nella non assoluta rigidità di certe barriere? Questo, appunto, è ciò che fanno in questi giorni i profeti ed i maghi: i quali svolgono, così, una loro precisa funzione nella « congiuntura psicologica »· della fine dell’anno.
Esiste, è vero, una giovane disciplina – la parapsicologia – che si occupa delle presunte facoltà extra-normali della nostra psiche (compresa quella di poter eventualmente « slittare » nel tempo), e che cerca di individuarne le caratteristiche con metodi pazienti di studio e di laboratorio. Ma si tratta di un’attività assai lontana da quella dei « maghi »: i quali, in genere, preferiscono di gran lunga l’attenzione, il clamore e i compensi della folla alle minuziose ricerche della scienza. Su ciò che li riguarda è ben di rado competente la parapsicologia: mentre molti aspetti della problematica che concerne sia loro, sia quelli che li seguono o li interpellano, possono essere assai bene illuminati in sede di psicologia profonda delle emozioni collettive.
Emilio Servadio

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