Recenti vedute psicoanalitiche sulla genesi dell’omosessualità
Ulisse n° 18, 1953

Alcune incertezze, fra le varie che ancora sussistono, relative alla genesi dell’omosessualità, sono dovute al fatto che solo recentemente è stato possibile investigare in modo sistematico le cosiddette « fasi pre-edipiche » dello sviluppo istintuale. Freud era naturalmente partito, nelle sue ricerche, dai livelli meno profondi dell’evoluzione psichica; e le sue impostazioni « in termini edipici » di molti problemi etiopatogenetici, e della stessa omosessualità, mentre da un lato sollevavano le resistenze della scienza pre-analitica, dall’altro tendevano a polarizzare sulla fase edipica «classica» l’attenzione dei suoi allievi e seguaci. Le geniali intuizioni e scoperte di Abraham sulle fasi pregenitali infantili rimasero per parecchio tempo insufficientemente elaborate. Solo negli ultimi quindici o vent’anni è stato dato un valore adeguato agli accertamenti relativi ai conflitti delle fasi orale e anale, e alla funzione dell’aggressività in tali stadi primordiali della evoluzione psico-istintuale.
Nella fase orale, il bambino è posto continuamente di fronte al problema di contemperare la sua situazione di dipendenza dal seno materno, e poi dalla madre, con la manifestazione dei suoi impulsi istintuali, che in tale periodo sono sin dall’inizio caratterizzati da una intensa ambivalenza. La mammella materna può essere soddisfacente o meno. Quando, come spesso di necessità accade, è insoddisfacente, essa diventa il bersaglio delle fantasie aggressive del bambino; ma la stessa dipendenza orale dalla mammella, e la mancanza di una netta distinzione fra ciò che è interno e ciò che è esterno, portano fatalmente il bambino a « incorporare » (introiettare) anche tale oggetto. che per proiezione è sentito come «cattivo». Il susseguirsi di queste introiezioni e proiezioni pone ben presto il bambino in posizioni conflittuali rispetto a due serie di oggetti parziali « buoni » e « cattivi », sentiti volta a volta come interni od esterni. Su tale base si stabiliscono le prime relazioni oggettuali – molto prima, cioè, di quanto si era creduto-; ed ha inizio altresì quella dicotomia odio-amore, che troverà la sua espressione più matura nella situazione edipica descritta da Freud: situazione, cioè, in cui le qualità di « buono » e di « cattivo » possono applicarsi a due diversi oggetti totali (i genitori).
In base a queste vedute, è chiaro che l’ingresso nella fase edipica, le caratteristiche del complesso di Edipo, e il suo superamento, sono determinati dal modo in cui sono state attraversate sia la fase orale, sia quella anale (nella quale, come acutamente ha notato Fairbairn, la zona anale ha soprattutto una funzione « tecnica », di controllo rispetto agli oggetti, anziché quella di un organo esecutivo di istinti parziali). Nell’etiopatogenesi delle nevrosi si tende oggi sempre più in psicoanalisi (M. Klein, C. Scott, E. Bergler) a istituire una netta distinzione fra quelle aventi una « base » (fissazione, regressione) orale (con eventuali trasposizioni o « riporti » anali) e quelle in cui le radici sono decisamente edipiche. In altre parole, l’accento tende a spostarsi da una valutazione dei conflitti in termini di « impulsi » a una loro valutazione in termini di « oggetti » (parziali, infantili, interni; poi totali, adulti, esterni).
Questi criteri sono stati applicati con successo al problema dell’omosessualità, sia in sede etiopatogenetica, sia in sede terapeutica. Nell’omosessualità sono stati distinti, schematicamente, due tipi fondamentali, che si possono classificare, seguendo Bergler, rispettivamente come «omosessualità-perversione» (o « vera » omosessualità) e «omosessualità spuria» (o pseudo-omosessualità). La loro psicogenesi può essere brevemente descritta come segue.
Il « vero » omosessuale ha effettuato una parziale regressione alla prima fase di sviluppo istintuale. Egli non ha superato il conflitto fra la sua dipendenza infantile dalla mammella e la sua aggressività (sadismo) orale. La sua pretesa soluzione del conflitto è una stabilizzazione masochistica rispetto all’oggetto insoddisfacente, che viene perennemente cercato, e dal quale altrettanto perennemente ci si attende una frustrazione. Mentre nell’evoluzione normale del bambino maschio il distacco dalla mammella viene compensato da una adeguata valutazione del membro, che viene perciò considerato come un oggetto sostitutivo « buono », e che può a sua volta dispensare liquido e piacere, l’omosessuale non trova nel suo stesso membro una compensazione adeguata alle rinunzie orali, e ne cerca duplicati e sostituti in coloro che possiedono un membro, ossia in altri uomini In tal modo egli nega, difensivamente, la sua dipendenza passiva, orale masochistica, dalla donna (madre): pretende, anzi, di escludere la donna dal suo orizzonte psichico, e ricerca l’uomo. La sua omosessualità è dunque un cospicuo meccanismo di difesa, imposto da un Super-Io primitivo, e volto a mascherare l’anzidetta stabilizzazione inconscia su posizioni orali-masochistiche. Traspare tuttavia in questo tipo di omosessuali non soltanto la « base orale » originaria (fellatio, scopofilia e simili manifestazioni orali-incorporative), ma anche la ricerca inconscia di frustrazioni, palese nei frequenti mutamenti di oggetto (mutamenti superficialmente considerati come prova di « attività »), nella perenne insoddisfazione (anche nei casi in cui ciò è coscientemente negato) e nella razionalizzazione, su basi pseudo-filosofiche o pseudo-sociologiche, della loro stessa tendenza ad essere « trattati ingiustamente » – tendenza che l’omosessuale proietta costantemente sul proprio ambiente e sulla società.
Come si vede, questa impostazione del problema prescinde completamente dai meccanismi edipici di introiezione -identificazione o di proiezione di un « oggetto totale » femminile adulto – meccanismi che invece vigono appieno, come ora si dirà, nelle forme più superficiali o « spurie » di omosessualità. Il tipo di omosessuale testè descritto si identifica inconsciamente o con la madre pre-edipica (tipi « attivi ») o col bambino da essa dipendente (tipi « passivi » – mentre pretende difensivamente di identificarsi con le figure adulte – padre (attivi) o madre (passivi) – della fase edipica, giungendo in qualche caso ad assumere atteggiamenti od ornamenti ostentatamente « femminili ». E’ chiaro che se ci si lascia fuorviare, e si considera come primaria l’una o l’altra di queste due identificazioni difensive, non si comprende la struttura orale pre-edipica dell’omosessuale; e che la esplicitazione analitica delle anzidette identificazioni di copertura non fa altro che confermare il soggetto nel tipo di difesa adottato. Molti fallimenti nelle analisi di veri omosessuali sono presumibilmente dovuti al fatto che l’analista, rendendo più esplicita l’identificazione fuorviante del soggetto con la madre o col padre edipici, ha semplicemente consolidato le sue difese, lasciando intatto il problema orale di fondo.
La regressione parziale effettuata dal vero omosessuale a fasi primitive dello sviluppo istintuale – fasi in cui i rapporti oggettuali sono contrassegnati dall’ambivalenza – può solo giustificare il fatto ben noto che nei rapporti fra omosessuali si alternano di continuo la bramosia amorosa e l’aggressività (scene di gelosia, violenze verbali o fisiche, sino a omicidi e suicidi), senza che queste due componenti riescano mai a fondersi in snodo permanente. Alcuni hanno perciò ritenuto che il problema psicologico principale della coppia omosessuale sia un problema di aggressività e di dominazione. Ciò è vero solo in modo molto superficiale, e questa considerazione non ha valore se non la si inquadra nel senso da noi indicato.
Ben diverso è il caso dell’omosessualità che trova veramente la sua origine nello stadio finale del complesso di Edipo. In questo caso l’individuo non è riuscito a superare l’aspetto negativo del complesso, e si identifica inconsciamente con la immagine passiva della madre edipica, cercando poi, negli uomini, sostituti del padre. La difesa reattiva contro questa posizione può avere due aspetti: uno è l’atteggiamento dongiovannesco, di « super; maschio »; l’altro è l’accettazione palese di una certa aliquota di caratteristiche decisamente femminili, nei casi in cui la difesa è solo imperfetta: abbiamo allora i tipi « effeminati », nei quali l’opinione comune, a torto, ravvisa i veri omosessuali, mentre, come è noto, questi ultimi non hanno generalmente alcuno specifico tratto femminile, né fisico né morale. Negli pseudoomosessuali l’identificazione inconscia è di fatto, come si è indicato, con la madre passiva del periodo edipico, mentre quella fuorviante e difensiva è o con l’uomo « maschio » oppure con il tipo « donnina », o « uomo effeminato ».
Nella psicogenesi dell’omosessualità femminile troviamo, sino a un certo punto, posizioni e distinzioni analoghe. Anche qui l’omosessualità rappresenta un complesso meccanismo di difesa contro una situazione non risolta della prima infanzia, in cui la bambina si è stabilizzata nella sua dipendenza orale-masochistica dalla madre. Nell’evoluzione normale, dopo qualche tentativo di sostituire la mammella con uno pseudo-membro (clitoride), la bambina trasforma il suo masochismo primario e accetta di essere penetrata e « nutrita » da un « buon » sostituto del seno materno – il membro maschile. Nell’omosessualità femminile « vera », all’attaccamento masochistico-orale infantile si reagisce con aggressività, e disprezzo della donna «che ha rapporti con uomini» (madre); e l’aggressività è a sua volta mascherata dall’« amore » per le donne. La donna omosessuale può ulteriormente camuffarsi da « pseudo-uomo »; ma i suoi rapporti con persone del suo sesso ripetono in realtà i rapporti bambina-madre o madre-bambina della fase pre-edipica. La donna che adotta atteggiamenti o capi di vestiario « maschili » non è, di solito, una vera omosessuale: è una isterica, che esprime in tal modo il suo superficiale rifiuto a identificarsi con la madre « passiva » del periodo edipico, e ostenta una pseudo-identificazione di copertura con la figura paterna della stessa fase.
Nella sommaria esposizione che precede abbiamo trascurato di proposito vari elementi che ad un tempo complicano e meglio giustificano le tesi presentate. Per quanto riguarda la genesi dell’omosessualità maschile, giova ricordare che le sue radici orali erano state quasi incidentalmente indicate da Freud, nel lavoro Eine Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci (1910) – sebbene Freud considerasse, in quel saggio, la fissazione orale al membro come un diretto spostamento del primario attaccamento alla mammella, e non come una primitiva linea di difesa volta a negare la stabilizzazione masochistica dei conflitti orali a quel livello, e la dipendenza passiva dalla madre pre-edipica. La funzione dell’aggressività in tale fase è stata ampiamente illustrata nei lavori di Melanie Klein e della sua scuola, così come l’aspetto masochistico delle varie « soluzioni » psicopatologiche rispetto al problema centrale dell’« oggetto cattivo » primario è stato indicato con grande efficacia da Edmund Bergler. Secondo Melanie Klein, le angosce primitive del bambino maschio rispetto al corpo materno considerato come pericoloso e distruttivo possono contribuire a impedirgli di sentire il suo stesso membro come sufficiente e compensatorio, col risultato che la donna non può essere veramente amata, e che il membro altrui viene continuamente ricercato a scopo di rafforzamento narcisistico, e di rassicurazione contro le paure inconsce relative ai cattivi oggetti esterni ed interni. Paula Heimann e Susan Tsaacs ravvisano nel continuo bisogno di incorporazione, specialmente orale, il desiderio di introdurre cose «buone», che contrastino con gli oggetti « cattivi » interni, e al tempo stesso provino che non tutto il « buono » esterno è perduto. La scuola di Melanie Klein insiste altresì molto sulla estensione al membro paterno di varie connotazioni attribuite originariamente dal bambino al seno della madre, e sul continuo scambio di proiezioni ed introiezioni nei rapporti oggettuali primitivi.
Benger, nei suoi scritti più recenti, mostra di tenere nel debito conto le tesi della « scuola inglese » di psicoanalisi sull’importanza dell’aggressività orale infantile, delle sue proiezioni, e della funzione di queste nella genesi dell’omosessualità. Questo Autore concorda altresì con l’anzidetta scuola nel considerare il « complesso di evirazione » come una editio minor delle primitive angosce inerenti alla perdita della mammella. La « scoperta del genitale femminile » o la « invidia del membro », nelle rispettive «fasi falliche » pre- o post-edipiche del bambino o della bambina, non possono dunque avere una decisiva funzione patogenetica nella genesi dell’omosessualità vera, ma solo, casomai, una funzione scatenante, nel senso di riattivare i conflitti e le difese orali e anali precedenti. Nell’omosessualità spuria, per contro, la fase genitale edipica è, al tempo stesso, raggiunta ed « agita », pur essendo discernibile soltanto attraverso i meccanismi di difesa e gli sviluppi sintomatici correlativi.
Vari problemi concernenti i più diversi aspetti empirici dell’omosessualità maschile e femminile (scelta dell’oggetto giovanile o adulto, omosessualità occasionale o regolare, accettazione cosciente o ripugnanza nei riguardi delle proprie tendenze omosessuali) sono stati proposti e dibattuti dallo stesso Benger (particolarmente nel volume Neurotic Counterfeit-Sex), e ci limitiamo qui a menzionarli, notando che nessuno degli anzidetti aspetti fenomenologici sembra tale da contraddire le tesi fondamentali esposte nel presente articolo.
Emilio Servadio

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