Ad Haiti aria nuova
Un’isola magica
Lotta senza quartiere all’analfabetismo – Il problema linguistico
Il Tempo 17/02/ 1956
Port-au-Prince, febbraio

Un’insolita sovrapposizione di elementi eterogenei rende difficile, al visitatore europeo, penetrare nel cuore del popolo di Haiti, e comprendere ciò che vogliono, sperano e credono gli i abitanti dell’ «isola magica».
Una prima difficoltà è il Paesaggio. L’aereo invernale che in otto ore e mezzo, dalla babelica e fredda New York, trasporta il passeggero a Port-au-Prince, fa un ampio giro sul golfo turchino e atterra in una radura circondata di verde e di fiori. Il sole splende. Echeggiano musiche lontane. Le prime – persone che incontri ti sorridono come a un vecchio amico. Italien? C’est magnifique! Les· Italiens sont nos amis. Il y a· bien cent cinquante families italiennes à Haiti.
La statua di Cristoforo Colombo bene in vista sull’imbarcadero, sembra anch’essa ammirare e assentire.· «Ho scoperto una meraviglia»- scrisse Colombo a Isabella e Ferdinando, dopo aver posto piede in Haiti, il 6 dicembre 1492. E’ un infaticabile globe-trotter inglese Sir Spencer St-John, pur nel suo asciutto linguaggio, non dovè anch’egli ammettere che «in nessuna parte del mondo esiste un’ isola più bella di Haiti»?
Ma il mio scopo, recandomi ad Haiti, era quello di tenere alcune lezioni all’Università di Port-au-Prince, generosamente aiutato in ciò dalla «Parapsychology Foundation», di New York, e aderendo a un cordiale, insistente invito. I miei immediati colloqui furono pertanto con esponenti della cultura haitiana: con il Ministro dell’Istruzione, con quello della Sanità Pubblica, col Rettore dell’Università, col Decano della Facoltà di Medicina.
La sera stessa, alla mia prima conferenza su La psicologia dinamica, tutte queste autorità erano presenti, insieme con buona parte dei docenti universitari, e con varie centinaia di allievi. Un grande onore reso a uno studioso italiano, indubbiamente: ma anche un eloquente segno del sentimento che anima questa élite, tutta protesa a fare di Haiti un Paese culturalmente avanzato.
Non è facile. Economicamente, Haiti è una Nazione in prevalenza agricola con popolazione densa. Dopo aver rotto il giogo della schiavitù, nel 1804, gli Haitiani accettarono di pagare agli ex proprietari di terre la somma, allora enorme, di 65 milioni di franchi. I nuovi coltivatori non avevano capitali ed erano sprovvisti di istruzione tecnica. Per lungo tempo, inoltre, molti Paesi ancora schiavisti mantennero verso la giovane Repubblica «nera» un atteggiamento ostile, costringendola a vivere pressoché esclusivamente con i suoi scarsi mezzi. L’arretratezza economica, l’isolata posizione geografica, l’essere rimasta per tanto tempo esclusa dalle moderne correnti culturali (chi si preoccupava di ciò che potesse apprendere o creare, una popolazione di Africani importati?) – tutto ciò ha impedito ad Haiti sino a non molti anni fa, di affermarsi in sede politica internazionale, come di rivelare le sue possibilità in fatto di scienza, di letteratura e di arte.
Queste remore sono ora assai minori, ma non sono scomparse. Haiti lotta come può contro l’analfabetismo, che ancora domina in circa l’80 per cento della popolazione. Le sue esportazioni si basano per tre quarti sul caffé, cosicché l’andamento di un raccolto o una fluttuazione nei prezzi esterni di mercato si ripercuotono immediatamente sul bilancio statale e sul tenore di vita della popolazione. Malgrado tutto ciò, Haiti ha oggi moltissime scuole elementari e medie; e l’Università di Port-au-Prince, dotata di ottime attrezzature tecniche, conferisce lauree in medicina, lettere, giurisprudenza, ingegneria, scienze, agricoltura e commercio. Rapidamente, e specie negli ultimi venti o trent’anni, Haiti ha fatto conoscere i suoi letterati, artisti, musicisti, romanzieri e uomini di scienza. Alcuni di essi hanno raggiunto notorietà internazionale: basti citare Sua Eccellenza Jean Price-Mars, etnologo famoso, Rettore della Universi tà, Ambasciatore di Haiti all’ONU.
Il problema della cultura haitiana presenta particolari aspetti linguistici. Neppure per un istante, malgrado le vicende politiche, la Repubblica di Haiti ha pensato a sganciarsi dalla lingua e dalla cultura francesi – anche se l’influenza nordamericana ha fatto sì che parecchi Haitiani, e ogni persona colta, conoscano l’Inglese. Ma la maggior parte della popolazione non parla né il Francese né l’Inglese: parla il creolo, il quale è un patois composto di parole francesi (o brettoni, o piccarde, o tratte da altri dialetti di Francia) antiche e moderne, più o meno modificata e corrotte, con una grammatica e una sintassi semplicistiche, e la sussistenza di vocaboli originari del Dahomey o di altre regioni africane, di termini spagnoli e anglosassoni. In questo linguaggio dolce e pittoresco – e solo in questo – si esprimono tutti gli illetterati, e i bambini sino a quando vanno a scuola.
Che fare? Le autorità haitiane si sono sempre opposte a dare al creolo dignità di lingua nazionale. Pur rispettando un patrimonio linguistico dal quale il popolo di Haiti continuamente attinge per esprimere il suo inesauribile folklore (alcune poesie e canti popolari in creolo sono di una toccante bellezza), l’insegnamento primario deve dunque in primo luogo sostituire il francese al patois, e risolvere a favore del primo un antagonismo ancor oggi profondo ed attivo. Il francese, per l’Haitiano incolto, è doveroso artificio, il creolo è spontaneità. «Dato che i negri avevano bisogno di comunicare tra loro, e non erano sciocchi» scrive un autore moderno, il Doret – «essi ascoltarono come parlavano i Francesi, e cercarono di parlare come quei bianchi. Così si formò il creolo».
Emilio Servadio

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