Tam-tam ad Haiti per i riti del Vodun
Il Tempo 07/03/1956
La religione degli haitiani è la cattolica ma il paganesimo resiste, specie presso la popolazione rurale
Port-au-Prince, marzo

La religione di Haiti è la cattolica apostolica romana. Accanto a essa, in un sincretismo difficile a comprendere per chi «sta fuori», esiste e prospera, specie presso la popolazione agricola, il culto Vodun, o Vaudou.
Il Vodun comprende riti diversi ed antichi, di origine africana, trasferiti in Haiti con gli schiavi che i colonizzatori bianchi vi deportarono. Sul tronco delle credenze africane si sono innestati motivi e pratiche del Cristianesimo.
Questa religione – poiché si ratta di una religione vera e propria, e non soltanto di superstizione e di magia primitiva – presuppone l’esistenza di Dio, ma si tratta di un Dio inaccessibile, del Mahou degli indigeni del Dahomey, indifferente alle vicende e alle preghiere umane. Subordinati a Lui, e in qualche modo avvicinabili, sono i Vodun, o Spiriti, o Loas – più o menò analoghi agli dei o semidei pagani. I riti Vodun hanno lo scopo principale di mettere l’uomo in comunicazione con i Loas, e sollecitarne l’intervento.
I luoghi di culto del Vodun sono rozzi templi appartati, chiamati houmforts, provvisti di altari e di varie suppellettili. Alle cerimonie presiedono sacerdoti: maschi (houngans) e femmine (mambo, houncis). I riti sono stati descritti con grande dovizia di particolari non soltanto da scrittori «a effetto» come W.T. Seabrook (nel suo celebre libro The Magic Island, apparso nel 1929), ma da studiosi ed etnologi haitiani (PriceMars, Maximilien) e non haitiani (Herskovits, Bach).
Taluni aspetti impressionanti, e qualche volta ripugnanti, della religione Vodun, hanno fatto correre su questi riti le dicerie e le interpretazioni più strane ed estremistiche. La presenza in qualche houmfort di un’innocua biscia (evidente residuo di culti ofidici africani) ha indotto qualcuno a considerare addirittura seguaci del Vodun come adoratori del serpente biblico, e cioè di Satana. Il fatto che in certi rituali Vodun – ma non in tutti – vengano sacrificati e mangiati animali (polli, conigli, capretti) ha dato origine alla favola di un supposto cannibalismo dei praticanti! La frenesia e i parossismi individuali e collettivi in cui spesso culminano le funzioni, sono stati interpretati come scene d’orgia in cui tutto può avvenire e tutto è lecito. Libri come Cannibal Cousins di Craige, e Voodoo Fire in Haiti, di Loederer, hanno fissato in bella carta queste ed altre assurdità.

I posseduti

Infinitamente più interessanti e importanti che non il sacrificio di qualche volatile o quadrupede sono stati gli aspetti storici etnici e psicologici di questa strana religione. Le musiche e le danze che accompagnano le cerimonie, le formule d’invocazione, le gerarchie e le attribuzioni dei diversi Loas, gli abbinamenti e le identificazioni di alcuni di questi con entità del culto cattolico – ecco una serie di argomenti sui quali molto c’è ancora da constatare e da chiarire. Le musiche del Vodun sono in parte note, ma andrebbero sistematicamente registrate, trascritte e analizzate da specialisti. I filologi e gli storici delle religioni potrebbero trovare ampio materiale nello studio di molti slogans propiziatori assai complicati, e irti di parole sconosciute anche a chi padroneggia il creolo.
Nel corso della mia permanenza ad Haiti ho avuto occasione di discutere con persone colte e bene informate circa i problemi del Vodun che avevano per me speciale interesse, ossia quelli delle «crisi di possessione» che nel corso di una cerimonia possono improvvisamente colpire questo o quel seguace, trasformandone la personalità. Il soggetto, in questi casi, è considerato temporaneamente invaso dall’uno o dall’altro Loa. La sua voce, le frasi che pronunzia, certi parossismi fisiologici e pare talune possibilità paranormali di conoscenza e di azione, lo fanno ritenere oracolo e impersonazione del dio.

Niente isterismo

Secondo Jean Price-Mars, che ha dedicato a queste crisi un intero capitolo del suo celebre libro Ainsi parla l’oncle, esse avverrebbero in soggetti individualmente ed ereditariamente predisposti, classificabili, secondo la tipologia di Delmas e Boll, in primo luogo fra gli individui a costituzione psicopatica mitomaniaca, e in via accessoria fra i costituzionalmente iperemotivi.
Altri studiosi, più aggiornati rispetto alle moderne vedute di psicologia dinamica e di etnopsicologia, hanno dato un quadro più esatto e più profondo di tali stati. Tra essi sono lieto di citare il mio amico dottor Louis Mars, psichiatra (analiticamente orientato) di Port-au-Prince, che nel suo studio La crise de possession dans le Vaudou, recentemente ristampato a cura della «Parapsychology Foundation» di New York, ha cercato di interpretare i fenomeni in discorso servendosi di concetti psicodinamici e psicoanalitici.
Anch’egli respinge come semplicistica, e non adeguata allo speciale quadro etnologico del Vodun, la definizione di «isterismo collettivo», proposta da qualche vecchio autore. I meccanismi ben noti della proiezione (per cui certi contenuti e impulsi fantastici dell’inconscio vengono esternalizzati e sentiti come non propri) e dell’identificazione (che presuppone una inconsapevole incorporazione di oggetti esteriori autentici o immaginari) stanno, a nostro avviso, alla base delle «crisi» del Vodun – giacché in esse i Loas vengono postulati come esseri reali ed esterni (mentre sono beninteso entità immaginarie e interiori), con le quali il soggetto improvvisamente s’identifica. Ma molto giustamente Louis Mars osserva che tali fenomeni sono nel Vodun, ampiamente «socializzati», il che non permette di considerarli come se avvenissero – supponiamo – nelle coordinate di una cultura nostrana, o a noi più vicina. Non dobbiamo mai dimenticare che le nostre definizioni di «normale» o di «anormale» sono condizionate, oltre che da ciò che possiamo dire della personalità psichica umana in generale, anche dai termini sociali e culturali entro cui si situano certi fenomeni. Possiamo perfettamente immaginare l’impressione di· «psicosi collettiva» che potrebbe dare, a uno psicologo di cultura totalmente diversa, un nostro pubblico di «tifosi» del calcio…
Louis Mars presuppone, in coloro che sono colti da una «crisi di possessione» Vodun, una disposizione «schizoide», ossia una particolare tendenza alla dissociazione psichica. D’accordo: e tanto più in quanto il concetto di Io schizoide tende attualmente ad estendersi, e permette di comprendere taluni problemi generali dello psichismo abnorme, che le classificazioni freudiane non inquadravano in modo del tutto soddisfacente. Non v’è dubbio, comunque, che uno studio sui fenomeni del Vodun, ulteriormente approfondito in senso psicoanalitico, si annunzi quanto mai promettente.
Ma nessuno studio «dall’esterno» può, beninteso, sostituire un’esperienza diretta di simili accadimenti; e la migliore descrizione, anche se dovuta alla penna magistrale di un Price-Mars, impallidisce di fronte all’atmosfera rievocata, mentre scrivo, da un’aria Vodun cantata dalla magica voce di Emérante de Pradines, e fedelmente ritrasmessa dall’apparecchio meccanico. Il dio Dambailà chiede che i suoi fedeli diano inizio al culto, tracciando al suolo il suo vevers, ossia un disegno ornamentale a lui specialmente dedicato. La hounci comincia dolcemente, e il coro segue e ripete: «Fate un vevers per me Damballà Oueddò!»
L’accompagnamento in sordina del tam-tam sembra seguire lo straniero che si allontana e che partirà l’indomani.
«Ma badi» dice sorridendo l’amico haitiano che mi scorta -: «gli incantesimi del Vodun sono potenti, e Lei…. ritornerà».
Emilio Servadio

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