La morte apparente dei fachiri non ha nulla a che fare con lo Yoga
I seguaci di questa filosofia indiana, il cui nome significa «Unione», rifuggono dagli esperimenti sensazionali ritenendoli poco decorosi.
Il Tempo 17/08/1956

Uno dei vari «maghi» nostrani (ogni città sembra averne ormai uno) ha recentemente compiuto un’impresa che gli ha procurato molta notorietà, e l’abbraccio di «Miss Bellinzona». Chiuso in una cassa di metallo lunga due metri e venti, alta settanta centimetri e larga altrettanto, egli si è fatto calare in una vasca, e vi è rimasto due ore, battendo – così hanno riferito giornali – il record mondiale di simili prodezze. Parecchie persone si sono chieste in qual modo si possa sottoporre l’organismo a prove del genere; e le parole di un medico presente – il quale dichiarò che il protagonista aveva dovuto la sua riuscita «alla più rigorosa applicazione della disciplina Yoga» hanno richiamato nuovamente l’attenzione su questo sistema orientale, ancora largamente avvolto, per molta gente, nei veli dell’occulto e del magico. Qualche precisazione sullo Yoga e sui «poteri» che ne potrebbero derivare sembra perciò opportuna. Ma vorremmo anzitutto aggiungere un po’ di metaforica «acqua fredda» a quella della piscina in cui il nostro mago si è fatto immergere per due ore. Fisiologicamente, il sopravvivere a due ore di permanenza in uno spazio chiuso di oltre un metro cubo non presenta nulla di soprannaturale, qualora l’individuo rimanga immobile e respiri a ritmo rallentato. Gli illusionisti che praticano questo tipo di «esperimenti» in teatro adoperano di solito semplici filtri di cotone, applicati sulla bocca e nelle narici, allo scopo di purificare alquanto l’aria viziata che debbono via via inalare. Alcuni, ancora più prudenti, portano di nascosto nella provvisoria bara una bomboletta di ossigeno compresso. Ma anche senza questi accorgimenti, non si è verificato forse molte volte che persone siano rimaste « sepolte vive » senza rinnovo d’aria, per diverse ore e persino per giorni, in ristrettissimo spazio, e siano sopravvissute senza sicuramente aver fatto uso di alcuna «disciplina Yoga»?
Se poi ci rivolgiamo all’Oriente, e a quelle prove di rallentamento o sospensione dei ritmi e processi vitali che il nostro prof. Mendicini, dell’Università di Roma, ha studiato in un suo lavoro sulla «morte apparente autoprovocata», troviamo che le due ore del «mago» nostrano diventano una vera bazzecola; e non si può non dedurne che nel caso del «mago», i procedimenti adoperati non dovevano aver proprio nulla a che fare con le tecniche di certi sadhus indiani. Il caso limite sembra esser quello di Haridas che nel secolo scorso rimase quaranta giorni (così c’informa tra gli altri il dott. Hoenisberger, medico del Maharajah Rangit Singh) in una bara ermeticamente chiusa, regolarmente interrata, e guardata a vista giorno e notte dalle guardie del corpo del sovrano. Altre imprese del genere sono state effettuate di quando in quando in India anche in tempi recenti, con durate variabili, ma sempre di più giorni. Il « record mondiale » del nostro mago è dunque soltanto nella mente di persone poco informate.

Nulla di materiale

La «morte apparente autoprovocata» è certo ottenuta – questa si! – mediante l’applicazione di tecniche Yoga. Ma non si dovrebb’e perciò credere che il sistema Yoga fosse un assieme di acrobazie psicofisiologiche, e null’altro miranti se non a sbalorditive imprese e tours de force. Giova ricordare che Yoga significa «unione», e che l’unione che esso vuole ottenere come fine supremo non ha nulla di materiale: essa è secondo il più autorevole pensiero tradizionale indiano – l’unione dell’individuale con l’universale, dell’Atman con il Brahman. Secondo la filosofia Yoga, l’uomo non può trovare la felicità totale se non superando ogni distinzione e venendo a fare tutt’uno col supremo principio universale. A tale fine si può arrivare per diverse vie, che tutte però hanno in comune un qualche principio di rinunzia e di autodominio. Perciò vi sono delle tecniche Yoga che insegnano a mangiare bere, digerire, respirare razionalmente, e in genere a ottenere un controllo perfetto di tutte le funzioni del corpo: giacche se il corpo è malato, nessuna vera concentrazione di pensiero, nessuna meditazione è possibile. Altre pratiche, più sottili, implicano l’osservanza di rigidi principi morali, positivi o negativi; altre riguardano il modo di allenare e controllare il pensiero fin nel suoi processi più intimi; altre, infine, si occupano di quelle esperienze e di quegli stati che in Occidente chiamiamo «mistici», come le estasi e l’orazione soprannaturale.

Modeste proporzioni

Un sistema assai complesso, come si vede: ed infatti, esiste sullo Yoga una vastissima letteratura, indiana ed occidentale.
L’attenzione di molti in Occidente e, a dir la verità, anche dei meno colti ed evoluti fra gli Orientali si è soprattutto soffermata su un aspetto appariscente, ma di per sé non molto importante, delle pratiche Yoga: quello dei cosiddetti «poteri» o manifestazioni paranormali. Nel corso dei loro esercizi, coloro che praticano seriamente lo Yoga possono diventare, anche senza loro desiderio particolare, protagonisti di fenomeni che da noi si sogliono chiamare «parapsicologici» o «metapsichici» come telepatia, chiaroveggenza, azione paranormale sulla materia, ecc. Altre volte essi possono volersi servire di loro speciali facoltà, ottenute attraverso tali pratiche, per scopi particolari – anche puramente dimostrativi, come quando n 1926 lo Yogi Deshbandu fece constatare, ai Soci dell’Unione Medica di Bombay, di poter rallentare o accelerare a volontà il proprio ritmo cardiaco. Tuttavia, nessuno studioso o praticamente serio di Yoga cerca tali manifestazioni o risultati per se stessi. I veri asceti dello Yoga non sono quelli che si fanno seppellire per giorni o settimane, o che ingoiano sostanze ardenti o venefiche senza risentirne danno. Coloro che perseguono unicamente questi risultati sono, anzi, alquanto disprezzati da chi mira più in alto; e non è fuori luogo ricordare che in Oriente, il termine fachiro (che vuol dire «povero», « miserabile ») non ha proprio nulla di lusinghiero, e non· solleva ammirazione…
Sarebbe quindi opportuno, quando ci si trova di fronte a imprese più o meno spettacolari come quelle di certi nostri «maghi» d’Occidente, ricondurle anzitutto alle loro proporzioni, che anche dal punto di vista della scienza nostrana sono di solito piuttosto modeste; e ricordarsi soprattutto che nella «scala della saggezza» secondo i criteri orientali, simili prodezze occupano comunque un gradino molto basso, o addirittura negativo. Lo Yoga, il vero Yoga, è tutt’altra cosa.
Emilio Servadio

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