Varie anni '20

VARIE ANNI’20 -SCUOLA POSITIVA E RESPONSABILITA’ PENALE

Scuola positiva e responsabilità penale

Il recente delitto di salita Pollaiuoli (in seguito al quale già apparvero su qualche quotidiano alcuni accenni, estremamente prematuri del resto, a una possibile diminuzione o esclusione di responsabilità a favore dell’assassino) ha dato occasione al signor Mario Roncagliolo, nel Corriere Mercantile, di attaccare i criteri che la scuola positiva ha introdotto nella valutazione della responsabilità penale.
Gli argomenti dell’autore dell’articolo sono i seguenti:

1) Nei tempi antichi e barbari l’assassino era considerato assassino, senza tanti complimenti e contorcimenti retorici e scientifici, e punito come tale.

2) La Scuola positivista considera l’uomo come una macchina, e i seguaci di detta scuola studiano ed esaminano soltanto gli organismi morti.

3) In tempo di guerra, nel quale non si scherza, la diminuzione o l’esclusione della responsabilità non sono ammesse. Perché due pesi e due misure?

4) Nel Codice militare l’ubriachezza è una aggravante, contrariamente a quanto dispone il Codice Penale ordinario, che ne fa una causa diminuente l’imputabilità; e ciò è giusto, tanto più che molte volte essa può esser procurata apposta, dallo stesso delinquente.

5) La Scuola positivista nega il libero arbitrio e parifica l’uomo al bruto.

6) Un uomo che fino ai giorno del delitto ha saputo sempre fare i suoi affari e si sarebbe indignato se alcuno avesse voluto dichiararlo irresponsabile, non deve usufruire di una tale dichiarazione per sfuggire una pena o per vedersela diminuita.

Il richiamo ai tempi antichi e barbari, ad un’era nella quale la punizione dell’assassinio rispondeva a criteri più equi di quelli odierni, non merita, mi pare, lunghi commenti, poiché nessuno può in coscienza sostenere che i sistemi odierni d’irrogazione delle pene a carico degli assassini costituiscano un regresso rispetto a quelli biblici o medioevali. Spero che non si vorrà, neppure per amor di paradosso, tessere le lodi dell’epoca del taglione o di quella dei giudizi di Dio.
Che la Scuola positivista studi sui morti è affermazione che pecca d’incompletezza, oltre che d’imprecisione. E’ verissimo intatti che il metodo positivo comprende lo studio sui cadaveri, ma è altresì vero che per quel che riguarda in particolare la Scuola positiva di Diritto penale, la principale materia d’indagine fu costituita dai delinquenti incarcerati e vivi. Gli scritti del Lombroso e del Ferri informino.
Il paragone col tempo di guerra non regge, a mio avviso, per molti motivi: ma basterà accennare a quello più evidente. In tempo di guerra subentrano, nell’irrogazione delle pene, due scopi immediati, che appaiono invece solo mediatamente tra le finalità delle pene ordinarie: l’esemplarità, e, in subordine, la difesa. Il traditore è fucilato perché in caso contrario si determinerebbe un pericolosissimo precedente.
Non è dunque che in tempo di pace si adoperino, gratuitamente, altri pesi ed altre misure, si seguono altri criteri in seguito alla profonda diversità delle circostanze. Nessun ufficiale si sentirebbe autorizzato, oggi, a far fucilare un soldato che rubasse due galline, solo per il fatto che anche a simili provvedimenti si è ricorso durante la ritirata di Caporetto!
Quanto all’ubriachezza, se è vero che nel nostro Codice essa è compresa tra le cause diminuenti l’imputabilità, in sede di diritti non può considerarsi, propriamente parlando, una attenuante. Anzi, l’ubriaco viene punito appunto perchè ha avuto il torto a ubriacarsi; che se si dovesse tener conto dei soli elementi volontari e intenzionali visto che essi mancano del tutto nell’ubriaco, questi dovrebbe essere sempre, costantemente assolto per qualsiasi azione che in stato di ubriachezza avesse compiuto.
Sull’ubriachezza procurata o affettata poi non c’è da discutere; perché essa non comporta alcuna diminuzione di pena (C. P. articolo 48, ultimo capov.) Qui è addirittura la legge scritta che si incarica di rispondere.
Il «libero arbitrio», dl cui è attribuita alla Scuola positiva la negazione, è in realtà questione della quale essa non si preoccupa affatto, appunto perché positiva, cioè contraria ad ogni apriorismo. Se detta scuola negasse effettivamente e categoricamente il libero arbitrio le conseguenze sarebbero ben più vaste che non quelle combattute dal Roncagliolo. Mentre invece la Scuola positiva ignorando i presupposti e preoccupandosi (con criterio del resto discutibile) delle circostanze di fatto nel reato (e, tra queste, della personalità del reo), considera quest’ultimo come un essere pericoloso, da isolare per un certo tempo, a difesa della società.
Ultima questione: il reo non deve usufruire, ecc. Ma intanto, nella specie, nessuna impossibilità teorica nel fatto che un individuo sia dichiarato irresponsabile per una azione singola, quando anche in precedenza non sarebbe stato possibile interdirlo; mentre poi nella pratica si verifica proprio questo, nel maggior numero dei casi: che le forme patologiche diminuenti o escludenti la responsabilità presentano appunto un carattere saltuario e momentaneo; senza di che spesso l’imputato non sarebbe più tale… perché chiuso da lungo tempo in un sanatorio o in un manicomio.

Con quel che precede non ho inteso affatto (e tengo a dichiararlo) di sostenere i principii della Scuola positiva, alla quale anzi non mi sento di aderire in toto. Ma altre sono le critiche possibili. Qui ho cercato soltanto di ricondurre le cose su di un piano logico, di adoperare una «mise à point» riguardo ad alcune questioni che mi parevano, dal punto di vista del Roncagliolo, sfuocate.

Emilio Servadio

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