Psicoanalisi e Yoga
Prima parte
Luce e Ombra 1947
Introduzione. – Yoga significa « unire », dal sanscrito yui, che si ritrova nell’jugum latino e nella parola italiana « giogo ». Il termine indica una direzione del pensiero indiano che ha avuto la sua sistemazione definitiva press’a poco nel secondo secolo a. C. e la sua pietra angolare nei celebri Yoga-Sutra (aforismi) di Patañjali. L’unione perseguita dallo Yoga è quella dell’anima individuale (Atman) con l’anima universale (Brahman). Tale unione, secondo lo Yoga, può ottenersi mediante sistemi parte psicologici, parte fisiologici e parte mistici. La comprensione del genere di tali sistemi, come mostreremo, è di molto facilitata per coloro che hanno l’abitudine di considerare i fenomeni psichici dal punto di vista della psicoanalisi.
Lo Yoga, come tale, non è un sistema filosofico, giacché la sua visione del mondo è, press’a poco, quella della filosofia Sàmkhya (coordinata da Kapila circa sette secoli a. C.). Non è neppure una religione nel senso che si dà a questa parola in Occidente, giacché essa è sostanzialmente immanentistica, e quindi in contrasto col trascendentalismo delle religioni occidentali. Caratteristiche dello Yoga sono la sua empiricità, la sua mancanza di dogmatismo, il suo, modo « sperimentale » di considerare le manifestazioni della vita psichica, dalle più elementari sino alle più alte. Non si tratta se non di una differenza di gradi; e lo Yoga esamina freddamente le peculiarità dell’estasi come quelle dei più banale fenomeno psichico della vita quotidiana. Il suo equilibrio tra i due poli dell’aridità intellettuale e dell’effusione sentimentale è ben degno di considerazione, e gli conferisce una indiscutibile superiorità su parecchie concezioni occidentali.
Lo Yoga presenta alcune suddivisioni, che corrispondono ai punti particolari di sviluppo sui quali si dirige l’attenzione o l’interesse di chi vuoi seguirne i metodi: Karma-Yoga, Hatha-Yoga,Bhakti-Yoga, ecc. Queste suddivisioni non hanno valore assoluto, come non lo hanno gli otto stadi progressivi indicati da Patañjali per il raggiungimento della meta finale che il praticante deve proporsi, e cioè Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana e Samadhi (codice morale negativo, codice morale positivo, posizioni del corpo, esercizi di respirazione, ritiro dei sensi, meditazione, contemplazione ed estasi). Si tratta sempre di divisioni non dogmatiche, ancorcé praticamente utili.
I principi fondamentali dello Yoga sono ben riassunti da Richard Rösel in Die psychologischen Grundlagen der Yoga-Praxis (Stoccarda,. 1928), come segue:
« Lo Yoga procede, al pari del sistema Samkhya che gli serve da base teorica, dal dolore dell’uomo. Il dolore proviene dall’unione dello spirito (Purusa) con la materia (Prakrti), alla quale appartiene anche la sostanza del pensiero (Citta). Il fondamento di questa unione è l’ignoranza (Avidya) e questa proviene dal fatto che Purusa s’identifica falsamente con Prakrti e Citta. Se si giunge a riconoscere la differenza essenziale fra Purusa da un lato e Citta e Prakrti dall’altro, si ottiene allora l’isolamento di Purusa (Kaivalya) e per esso la liberazione ».
Non pensiamo vi sia alcuno, in Europa o in America, il quale possa pronunziarsi in modo assoluto e definitivo circa i risultati che i metodi Yoga pretendono ottenere, e che vanno dal controllo di certi organi o funzioni (ritmo cardiaco, apparecchio circolatorio, fibre liscie dei muscoli addominali e degli sfinteri, ecc.) sino ai «poteri» paranormali che formano oggetto della Metapsichica, sino alle visioni ed alle estasi. Tuttavia, osservazioni precise e scientifiche sono state compiute in tempi recenti, in India e altrove, allo scopo di verificare tali asserzioni. La Bombay Medical Union effettuò, ad esempio, un esame approfondito delle facoltà di controllo del sistema cardiovascolare da parte dello « yoghi » Deshbandu, nel 1926. Il Dr. K. T. Behanan, un Indiano del Travancore laureato nell’Università Americana di Yale, studiò vari anni teoricamente e praticamente lo Yoga, e si sottopose poi egli stesso a dei controlli di laboratorio per lo studio e la registrazione del ritmo respiratorio e del consumo di ossigeno nelle varie fasi degli esercizi e in rapporto cori vari reattivi mentali. La Dottoressa Teresa Brosse, in India, ha studiato dal p.d.v. fisiologico alcuni soggetti praticanti lo Hatha-Yoga, ottenendo vari elettrocardiogrammi, curve di respirazione, ecc. I risultati di queste e di altre consimili ricerche hanno dimostrato che i metodi Yoga modificano realmente, e in guisa sempre controllata dalla coscienza, certi processi psicofisiologici dell’organismo umano. .
A Bombay chi scrive ebbe l’occasione di conoscere personalmente il Maestro Sri Kuvalayananda sotto la cui guida studiò il Dr. Behanan – e si rese conto della serietà con cui le ricerche e le applicazioni dello Hatha-Yoga vengono effettuate nello «Yogic Health Centre » di Bombay e nel «ritiro» di Lonavla (presso Bombay) per scopi soprattutto terapeutici. Kuvalayananda è persona perfettamente al corrente dei ritrovati della scienza occidentale, e ha pubblicato per diverso tempo i risultati dei suoi metodi in una rivista, Yoga-Mimamsa.
Ma se il lato fisiologico e fisico di questo « paranormale » dello Yoga è, almeno in parte, abbordabile con metodi occidentali, non si può certo dire lo stesso del lato più propriamente psichico e metapsichico della fenomenologia Yoga. Si arriva infatti assai presto a un campo di esperienze interiori che lo «yoghi» non può, anche volendolo, far verificare, o tradurre con parole in un linguaggio accessibile. Tuttavia le verifiche ottenute nella prima serie di fenomeni debbono render prudenti coloro che volessero giudicare sommariamente i secondi.
Consideriamo adesso alcuni punti in comune che la psicoanalisi ha con lo Yoga.
Il metodo. L’inconscio e la sua dominazione. – La psicoanalisi si è sempre iscritta in falso contro l’idea che la psicologia moderna sia o debba essere una psicologia « senza psiche ». Ciò che tuttavia la differenzia soprattutto dalle psicologie pre-analitiche è l’idea fondamentale mentale che la vita dello spirito, anche nelle sue manifestazioni più misteriose o più alte, può essere conosciuta ed esplorata con mezzi psichici. Lo stesso principio regge lo Yoga.
Scrive il Dr. Behanan (Yoga: a Scientific Evaluation, New York 1937): « A differenza degli altri sistemi, lo Yoga scoperse un sistema pratico di training mentale: lo studio dello spirito non fu dunque un argomento di diversione filosofica, ma una necessità pratica ».
Il che ci fa invincibilmente pensare agli inizi dell’opera di Freud.
La psicoanalisi, inoltre, ha una concezione « essenzialistica » e « dinamica » dell’inconscio: essenzialistica, in quanto considera i fenomeni psichici come essenzialmente incoscienti, l’Io cosciente come una sorta di sovrastruttura di precaria solidità, e là coscienza stessa come una specie di sensorio discriminativo di qualità psichiche; dinamica, in quanto considera l’inconscio come in perpetuo movimento, sede di contrasti e di conflitti senza posa. Questi due punti di vista hanno profondamente rivoluzionato le idee psicologiche precedenti, giacché prima di Freud l’inconscio – che veniva chiamato per lo più « il subcosciente » – era considerato in genere come un lato abbastanza ristretto e trascurabile della vita psichica, e come una specie di cassetto nel quale si depositavano via via gli eventi del passato.
Non si può non constatare con ammirazione che il sistema Yoga considera da oltre venti secoli! – la vita psichica inconscia proprio come la psicoanalisi, e quasi negli stessi termini. Citta, la sostanza del pensiero che, come abbiamo visto, non s’identifica affatto con lo spirito o Purusa, è considerata da Patañjali come del tutto inconscia. La coscienza diventa possibile quando Citta è illuminata da Purusa. Inoltre, si trova affermato in vari punti del sistema Yoga che le idee inconscie « esistono in Citta come tracce, potenze o impressioni (Vasanas), ch’esse sono attive e possono influenzare la coscienza » (Behanan, loc. cit., p. 151). Anche le zone più profonde dell’inconscio possono, secondo lo Yoga, essere condotte sotto la luce della coscienza. Lo Yoga ammette altresì un inconscio superindividuale (l’« inconscio arcaico » della psicoanalisi freudiana, l’« inconscio collettivo » di Jung), e il dominarlo è appunto il suo compito e il suo scopo.
Infatti, tanto in psicoanalisi come nello Yoga, non si tratta soltanto di aver riconosciuto i tratti caratteristici e l’importanza dell’inconscio, ma di prender posizione nei suoi riguardi. E lo scopo essenziale dei due sistemi è precisamente la dominazione dell’inconscio. In psicoanalisi, si tratta in primo luogo di coordinare la vita psichica dell’individuo, inserendovi in modo progressivo le tendenze e i processi rimasti inconsci, dopo aver fatto loro subire una trasformazione che risulta dai mutamenti topici, dinamici ed economici provocati dal trattamento. A sua volta, il sistema di Patañjali considera l’Io cosciente come sempre alla mercè degli impulsi vulcanici e minacciosi dell’inconscio, il quale non conosce né, ragione né equilibrio, e che ha come sua unica mèta il piacere. Per adoperare le espressioni di Behanan, il lato pratico dello Yoga, dal principio alla fine. «è tutto un piano dettagliato per, prender contatto con l’inconscio… Sinché l’inconscio conserva il suo potere, lo yoghi non pensa di aver compiuto alcun progresso» (Op. cit., p. 146).
E come la psicoanalisi ha subito una evoluzione, divenendo, da metodo psicoterapico individuale, un mezzo generale e possente offerto all’uomo per conoscersi e perfezionarsi, così è stato possibile dire dello Yoga ch’esso è « una terapia cosmica» (Behanan). Si veda anche ciò che scrive in proposito l’eruditissimo Hauer (Der Yoga als Heilweg, Stoccarda s.a., p. XV):
«Il grande significato della psicoanalisi per la vita dello spirito occidentale sta nella sua scoperta degli strati profondi dell’ anima umana e del fatto che essi hanno una parte di primo piano nella nostra vita e nelle nostre azioni coscienti. La stessa scoperta è stata fatta dallo Yoga in Oriente, parecchie migliaia di anni fa. I due metodi s’incontrano dunque nel punto decisivo, e si somigliano anche nel loro tentativo di mettere un ordine nella vita cosciente dell’uomo partendo da ciò che è al disotto della coscienza ».
Freud pensava certo a questi punti di contatto allorché scriveva, alla fine della lezione XXXI (3° capitolo) della sua Introduzione alla Psicoanalisi – Nuove Lezioni (tr. it., Roma 1934, p. 73): «…possiamo anche benissimo immaginarci che si possa riuscire, con certe pratiche mistiche, a rovesciare i rapporti normali tra i singoli distretti psichici, dimodoché la percezione possa afferrare delle condizioni dell’Io profondo e dell’Es che altrimenti le sono inaccessibili. Che per questa via si possa giungere alla suprema sapienza, da cui si attende ogni salvezza, è lecito dubitare serenamente. Tuttavia vogliamo concedere che gli sforzi terapeutici della psicoanalisi hanno scelto un simile punto d’attacco ».
Yoga e psicoanalisi di fronte al problema degli istinti. – Abbiamo menzionato più sopra quello che si potrebbe chiamare il «principio del piacere» dello Yoga. Secondo lo Yoga, gli impulsi inconsci esigono soddisfazioni immediate; l’essere umano, in genere, cerca il piacere e fugge il dispiacere, ma ogni esperienza ed ogni azione comportano dolore. Le concezioni freudiane, come è noto, sono del tutto analoghe, e ciò appare fra l’altro particolarmente nelle prime pagine di Jenseits des Lustprinzips (nelle quali Freud si ricollega alle idee di Fechner, del 1873). Non occorre, riteniamo, dilungarci sul tipico « dualismo degli istinti » nella concezione psicoanalitica freudiana: dualismo che da ultimo trovò la sua definitiva espressione nella formazione degli « istinti dell’Eros » e degli « istinti della morte ».
A quali istinti, secondo lo Yoga, si ricollegano i principi menzionati? A questo riguardo è assai interessante seguire il parallelismo tra la concezione psicoanalitica e quella dello Yoga, e vedere i rispettivi punti di contatto e di divergenza.
Al pari della psicoanalisi, lo Yoga ammette l’esistenza di due gruppi antitetici di istinti: un primo gruppo è quello degli istinti che spingono a vivere, a conservare, a riprodursi – e potremmo senz’altro considerarli equivalenti agli istinti freudiani dell’Eros (avremo occasione di mostrare quale parte importante abbia la sessualità nella teoria e nella pratica Yoga). Per l’altro gruppo Freud, come abbiamo ricordato, propose il termine di « istinti della morte ». Ora, non v’è dubbio che lo Yoga ammetta esso pure un gruppo di istinti contrari a quelli della vita organica: ma là dove Freud vede una tendenza negativa, verso l’annichilimento e la distruzione, lo Yoga vede una tendenza positiva, verso l’annullamento della vita considerata come dolore, e verso la liberazione. La definizione dello Yoga potrebbe raccostarsi a quella di una donna analista, Barbara Low, introdotta a proposito di un ulteriore principio ch’essa credette di riconoscere nella vita psichica e che chiamò « principio del Nirvana ». Questo termine, dopo che Freud raccostò il principio del Nirvana agli istinti della morte (in Das okonomische Problem des Masochismus), è scomparso dalla letteratura psicoanalitica: ma forse non giustamente.
La concezione degli istinti della morte ha sollevato gravi difficoltà in psicoanalisi. Diversi psicoanalisti preferiscono evitare il termine, e si limitano a riconoscere l’esistenza di istinti primari distruttivi (quelli che secondo Freud sono la manifestazione estrovertita degli istinti della morte). La soluzione dello Yoga è questa: le manifestazioni distruttive sarebbero in parte dei sottoprodotti del primo grande gruppo di istinti (uccidere o distruggere per, affermare la vita), con i quali potrebbero mescolarsi, talvolta disturbandoli (p. es., nel sadismo). Per l’altra parte, e per ciò che si riferisce in particolare ai fenomeni di autodistruzione (masochismo, suicidio, ecc.), si tratterebbe di conflitti acuti e a soluzione drammatica fra gli istinti della vita e quelli della liberazione. A questi ultimi apparterrebbero in modo speciale le tendenze a negare «la vita del mondo», l’aspirazione a una « pace superiore », ecc.: tendenze che in ogni epoca sono state proprie di asceti e di mistici, e nelle quali, a nostro avviso, è forse un po’ semplicistico veder soltanto e sempre dei fenomeni d’introversione, di ritorno allo stadio fetale od orale (ego-cosmico di Federn), ecc.
Sappiamo bene che vedute come quelle or ora esposte possono essere tacciate di « speculative », ossia non scientifiche. Ma proprio Freud, allorché si dispose ad affrontare le questioni della coazione a ripetere, degli istinti di morte, ecc., nel suo Jenseits des Lustprinzips, fu quello che mise in guardia il lettore scrivendo: « Ciò che segue dev’essere considerato quale pura speculazione» ….
Come seguito alle idee generali esposte in questo articolo, esamineremo in un prossimo scritto un problema particolare (secondo noi problema centrale) dello Yoga: quello del Kundalini-Yoga, mostrando come la fisiologia e la psicologia occidentali possano investire questo annoso enigma d’Oriente, e additarne la soluzione.
Prof. Dott. Emilio Servadio
Psicoanalista Via Tagliamento 76, Roma.
N.B. Per mancanza degli appositi caratteri tipografici non è stato possibile trascrivere i termini sanscriti servendosi dei segni diacritici approvati internazionalmente. I lettori sono pregati di scusare questa imperfezione, dovuta a cause estrinseche alla buona volontà
Dell’Autore e del Direttore.