Il surrealismo: storia, dottrina, valutazione psicoanalitica
Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia Sociologia, Letteratura ed Arte, Anno II, 1946, n°2
Il fenomeno surrealista è uno dei più interessanti fra quelli che le odierne indagini psicologiche possono prendere in considerazione; e il suo studio è, in pari tempo, una tra le avventure spirituali più avvincenti con cui uno studioso libero da pregiudizi possa prender contatto.
Sin dal 1916 la parola « surrealista » era entrata nel vocabolario, e precisamente ad opera di Guillauxne Apollinaire – noto poeta francese. Questi intitolò «drame surréaliste » un suo lavoro teatrale, Les mamelles de Tirésias, che sollevò una vera tempesta di discussioni. Ma il termine «surrealismo» stava semplicemente ad indicare, nel concetto dell’Apollinaire, un che di « superfantastico », senza altre implicazioni programmatiche. Già nel 1919, però, altri due scrittori francesi, André Breton e Philippe Soupault, scrivendo nella rivista Littérature, adoperavano spesso questo aggettivo per indicare una speciale attività dello spirito, uno stato e un atteggiamento psichico particolari. Il Breton, in particolar modo, andava interessandosi sempre maggiormente a certe esperienze interne subitanee, che si presentavano alla sua coscienza nella forma di frasi o idee già perfettamente formate, al di fuori di ogni controllo razionale.
Tanto lui che il Soupault cercarono di favorire il ripetersi di simili esperienze, e scrissero insieme, in pochi giorni, un libro di poesia, Les champs magnétiques, che costituisce il primo vero e proprio documento della produzione surrealista, nel senso che oggi viene generalmente dato a questa parola.
Nel 1924, le forze più vitali di quell’altro interessante movimento spirituale che fu il dadaismo si erano raccolte intorno al Breton: e questi pubblicava il suo primo «Manifeste du surréalisme», in cui, con notevole efficacia polemica e con una puntualità di linguaggio che derivava all’autore dagli studi scientifici compiuti, si delineavano i presupposti teorici del movimento. Il Breton scrive, a un certo punto, che il Surrealismo è « un mero automatismo psichico, col quale ci si propone di esprimere, verbalmente o per iscritto, l’attività del pensiero, ciò che detta il pensiero, indipendentemente da qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, fuori da qualsiasi preoccupazione estetica o morale ».
Esempi stupefacenti e inquietanti di ciò che si potesse ottenere per questa via erano stati dati tra l’altro, poco tempo prima, dal giovane poeta Robert Desnos, che per una certa epoca era stato colto assai spesso da stati di sonnolenza o di sonnambulismo, da cui non si riusciva a destano, e nei quali pronunziava con straordinaria facilità frasi e periodi ricchissimi d elementi lirici. Il Breton e i suoi seguaci andavano sempre più persuadendosi dell’esistenza di una realtà, psicologicamente percepibile, ma radicalmente diversa, enormemente più vasta e infinitamente più importante della realtà quale la concepisce la nostra ragione; e insistevano sulla necessità di concedere un predominio assoluto e imperativo a tale «super-realtà»: senza sceverare, senza temperare, senza discutere. Il Breton giunse a rimproverarsi acerbamente, dopo essersi svegliato una mattina col nome di una città francese che gli risuonava con insistenza all’orecchio, di non aver immediatamente preso il treno per quella città. Questo episodio, che può sembrare futile, è invece assai significativo in quanto mostra la « totalitarietà » dell’atteggiamento che s’impose ben presto ai surrealisti rimasti accanto al fondatore. Il surrealismo, dopo aver rotto i ponti con la letteratura, intesa in qualsiasi senso tradizionale, ha cercato di assumere la posizione più eversiva e radicalistica possibile di fronte alla vita in ogni sua manifestazione. Lo assetto attuale della società, per es., sembra ai surrealisti una delle più temibili roccaforti del pensiero legata alle catene della razionalità, cosicchè essi vogliono, sul piano politico, il comunismo integrale, la dissoluzione completa e senza residui degli stessi concetti di patria, di famiglia, di religione. Questi atteggiamenti politici hanno provocato, naturalmente, scissioni e dissensi nelle file dei surrealisti, e alcuni tra i compagni della prima ora hanno abbandonato il Breton, sostituiti ben tosto da altri aderenti altrettanto e ancor più decisi e numerosi. Ciò ha per noi scarso interesse, beninteso: ma è bene comunque non dimenticare che il Surrealismo è qualche cosa d molto diverso da un « movimento letterario »: esso è un’interpretazione della vita, un « sistema di conoscenza» come l’ha definito uno dei suoi esegeti, Georges Hugnet. « Tutto induce a credere», – scrive André Breton nel Second Manifeste du Surréalisme, apparso nel 1930 « che esiste un punto dello spirito da cui la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso, cessano di esser percepiti come contraddizioni. Ora, invano si cercherebbe nell’attività surrealista un altro movente che la speranza di determinare questo punto »: per raggiungere il quale il Surrealismo « tende al ricupero totale della nostra forza psichica con un mezzo che non è se non la discesa vertiginosa in noi stessi, l’illuminazione sistematica dei luoghi nascosti e l’oscuramento progressivo degli altri… In poesia, in pittura, il Surrealismo ha fatto, l’impossibile per moltiplicare i corti circuiti. Esso non tiene e non terrà mai a nulla, quanto a riprodurre artificialmente il momento ideale in cui l’uomo, in preda a una particolare emozione, è subitamente afferrato da quel « più forte di lui » che lo proietta, costretto all’estrema difesa, nell’immortale.. ». Il Breton predica « la vita passiva dell’intelligenza », « il lungo, immenso ragionato sregolamento di tutti i sensi »; infine «la ricreazione di uno stato che non abbia più nulla da invidiare all’alienazione mentale ».
E i surrealisti si sono di conseguenza accostati, qual più qual meno, a tutte le forme in cui si manifestano più liberamente i processi psichici automatici, irrazionali incoscienti: al delirio, ai sogni, a certi fenomeni medianici, a certi intensissimi stati affettivi come il terrore, l’estasi, l’orgasmo sessuale, alle allucinazioni da intossicazioni di veleni o di stupefacenti, a tutte le forme di psicosi. Nel campo letterario e artistico, quelli che essi riconoscono come antesignani, in quanto nelle loro opere balena, in misura maggiore o minore, la « surrealtà », sono, tra gli altri, scrittori come Sade, Arnim, Baudelaire, Rimnbaud Lautréamont pittori come Picasso o come certi primitivi (recente è la rivalutazione surrealista della decorazione fine Ottocento e dello stile floreale, ecc. Insomma, ed è ciò che più conta per lo scopo che qui ci occupa, l’esigenza dei surrealisti è stata ed è quella di svegliare le radici più profonde della personalità, di prender contatti sempre più frequenti con le misteriose energie dell’inconscio, di fare una parte sempre più larga a quel mondo che non è il inondo della coscienza di veglia.
Questa forma estrema d’irrazionalismo culmina nell’affermazione, secondo la quale occorre abdicare quanto più possibile al controllo dei centri superiori (volontà, ragione) per lasciare sempre più libero il campo alla fiumana impetuosa delle forze incoscienti.
Non è nostro compito esaminare qui queste piuttosto che quelle produzioni surrealiste: chiunque può farlo in separata sede, e consultare in proposito le numerosissime opere in circolazione. Qui vogliamo ora riprendere in esame, da un punto di vista psicologico e psicoanalitico, i lineamenti del Surrealismo brevemente tracciati, mostrando alcune particolarità di esso che c’interessano più da vicino, e da ultimo cercando di valutare più precisamente la sua posizione storica e culturale nel mondo moderno.
E’ divenuto quasi un luogo comune, allorché si parla del Surrealismo, accennare all’influenza che le dottrine freudiane hanno esercitato in modo particolare sul Breton, e in genere su tutto il movimento. Si sente spesso dire addirittura, assai superficialmente, che il Surrealismo è un sottoprodotto della psicoanalisi, senza la quale non sarebbe neppure sorto. Cerchiamo di veder meglio se questa influenza vi è realmente stata, e quale essa sia; o, più generalmente, quali rapporti estrinseci ed intrinseci corrano tra il Surrealismo e la psicoanalisi freudiana.
Il già citato Georges Hugnet, nell’introduzione alla Petit anthologie poétique du Surréalisme, apparsa qualche anno fa, accenna come il Breton, assai prima del Manifeste del 1924, fosse stato « condotto alla psicoanalisi» dai suoi studi medici e dalle sue «incertezze poetiche». Più oltre, riferendosi al Manifeste, egli menziona, « come sistema di liberazione dello spirito » propugnato dal Surrealismo, « da un lato l’automatismo, dall’altro le scoperte di, Freud ». Il Breton, dal canto suo, ha esaltato a più riprese il significato e l’importanza enormi dell’opera freudiana, specialmente per ciò che riguarda l’interpretazione dei sogni e la teoria sessuale, ma in genere per tutto ciò che si riferisce alle indagini sull’attività psichica inconscia. Giova ricordare che il Breton ha scritto tra l’altro un libro interessantissimo, Les vases communicants (1932), nel quale si richiama alla teoria freudiana del sogno come alla sola scientificamente legittima, e dà egli stesso le analisi, ottenute col metodo delle libere associazioni e integrate con alcune corrette equazioni simboliche, di certi suoi sogni e reveries. Anche in taluni scritti surrealisti, apparsi nella rivista Minotaure, la psicoanalisi e il suo fondatore vengono citati con esplicita ammirazione.
Che dunque tra le correnti spirituali che preparano il sorgere del Surrealismo debba anche porsi la psicoanalisi, è cosa a nostro avviso indubitabile: è chiaro che le scoperte analitiche relative all’inconscio, all’influenza dell’Es sull’io, al mondo onirico, ecc., dovettero fornire ai surrealisti un considerevole supporto teorico, una sorta di garanzia per ciò che riguarda l’importanza, da essi così accentuata e ipervalutata, dalle manifestazioni non coscienti e non razionali della vita psichica. Non sono state le sole: giacché un certo influsso hanno pure esercitato sui surrealisti gli accertamenti della metapsichica moderna, come noi stessi abbiamo mostrato in due saggi (Surrealismo e medianità, Surrealismo e ricerca psichica) apparsi nel 1931. A queste occorre poi naturalmente aggiungere le correnti rivoluzionarie specialmente artistiche della guerra 1914-18 e dell’immediato dopoguerra, tra cui il dadaismo già citato; la filosofia irrazionalistica bergsoniana, ecc.
Ma è lecito poi ricondurre, come generalmente si fa, e come più o meno vorrebbero gli stessi surrealisti, l’esigenza surrealista a quella che sta alla base della psicoanalisi freudiana? La risposta, a nostro modo di vedere, non può essere se non completamente negativa.
Dal punto di vista psicoanalitico, l’arte –anche intesa nel senso più generale conferitole da alcune correnti filosofiche contemporanee, e dallo stesso Surrealismo, di «espressione » e di «linguaggio » – risulta da un compromesso fra certe tendenze interne dell’artista e certe altre forze, attualmente od originariamente esterne (in questo secondo caso interiorizzate e agenti attraverso il Super-Io), appartenenti al suo ambiente. Il processo per cui i ciechi ed inconsci impulsi originari si canalizzano, si plasmano, si manifestano alla coscienza, si assoggettano ad una forma, diventano creatura artistica, è quello, ancora assai malnoto nella sua essenza, ma comunque accertato nella sua esistenza, che prende il nome di sublimazione. E’ probabile – sebbene su questi punti le ricerche siano appena agli inizi – che l’artista abbia, assai più del non-artista, la facoltà di intuire e descrivere certi processi dell’inconscio, e ancor più che il suo linguaggio, proprio perchè più vicino alle sue prime scaturigini che non il linguaggio razionale, appaghi più o meno le confuse esigenze che i lettori, gli ascoltatori e gli spettatori non riescono da se stessi ad esprimere e a soddisfare.
Per la creazione artistica è comunque assolutamente essenziale, da un lato una modificazione, descrivibile anche metapsicologicameute come variazione topica, dinamica ed economica, dei contenuti dell’inconscio, che subiscono spostamenti, acquistano speciali cariche nel preconscio, affiorano trasformati e sublimati alla coscienza; dall’altro una partecipazione anche totalmente cosciente dell’Io, che mette a profitto le proprie vissute esperienze e le proprie molteplici acquisizioni culturali. Il risultato di questi complicatissimi processi è invariabilmente una sintesi, e questa stessa parola rivela come e quanto l’Io dell’artista partecipi alla creazione dell’opera d’arte, ponendo sotto il suo crisma e sotto il suo seguo la «materia » più o meno inconsciamente elaborata.
Il surrealismo soppianta ora decisamente questo schema, iscrivendosi in falso contro un qualsiasi contributo dell’Io all’opera artistica. Se di «arte si può ancora parlare dopo tale presa d posizione – ciò che noi contestiamo – è evidente che il concetto surrealista, dell’arte è diversissimo, per non dire opposto, a quello che può averne uno psicoanalista fedele alle proprie premesse.
Senonchè, appunto, un surrealista ci potrebbe obiettare che l’attività surrealista non si lascia ricondurre sotto una definizione purchessia di «arte»; che se il Breton o altri parlano di poesia o di pittura, si tratta unicamente di modi convenzionali di esprimersi; che ciò che il Surrealismo vuole è promuovere particolari esperienze, assumere un atteggiamento peculiare e globale di fronte alla vita ed al cosmo.
Dato e non concesso che questo punto di vista sia sostenibile, vien fatto di osservare che l’ipotetico contraddittore perderebbe a questo punto definitivamente la partita, proprio mentre potrebbe credere di averla vinta: poichè un atteggiamento del genere non solo non è ricollegabile a quello psicoanalitico, ma è addirittura antitetico rispetto ad esso.
La funzione – se così possiamo esprimerci – individuale e sociale della psicoanalisi è quella di una progressiva opera di chiarificazione e «illuminazione dei regni bui», per la quale si cerca di acquistare all’Io parti dell’Es o – per adoperare termini topici – di trasformare processi psichici inconsci in processi precoscienti e coscienti. E’ questa la opera che gli psicoanalisti compiono nel loro lavoro quotidiano, e che la psicoanalisi, come movimento di pensiero, va svolgendo nel mondo.
Il Surrealismo vuole invece esattamente l’opposto: esso tende a scardinare le porte della coscienza e della ragione, a far sommergere le zone drenate e protette dell’Io da quelle caotiche e tumultuose dell’Es, a ripristinare processi psichici primari ed arcaici, a gettare insomma la personalità umana sulla china di attraenti e vertiginose, ma non meno pericolose avventure.
Metapsicologicamente potremmo dire, in una parola, che mentre la psicoanalisi si pone sotto il segno della progressione topica, il Surrealismo evoca e aspira alla regressione. Gli stessi evidenti punti di contatto, da noi mostrati nel 1931, fra certe scritture surrealiste e le scritture automatiche di tipo medianico, o tra molti disegni e quadri surrealisti e taluni fenomeni medianici di ordine fisico (manifestazioni ectoplasmiche) forniscono una singolare riprova al nostro punto di vista: poichè è pacifico il carattere regressivo dell’automatismo scrittorio, e sarebbe facilmente dimostrabile, qualora le indagini su questi fenomeni fossero più progredite, la regressione istologica e citologica verso un’organizzazione cellulare primitiva e indifferenziata, che condiziona le cosiddette «materializzazioni» medianiche.
La psicoanalisi ha come suo terminus ad quem un’integrazione; il Surrealismo disintegra. E la sua mira ad un arricchimento interiore somiglia veramente a quella di chi, per riscaldarsi, desse fuoco alla propria abitazione.
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Considerato da un punto di vista più generale, quale importante corrente spirituale nel mondo moderno, il Surrealismo denuncia, su un piano di espressione artistica o para-artistica, alcuni fenomeni tipici della nostra epoca, già additati da vani psicoanalisti, e particolarmente dal Freud nella sua opera Das Unbehagen in der Kultur. Ciò che sul piano della singola nevrosi o psicosi è dato a noi psicoanalisti osservare e descrivere, si può oggi purtroppo notare, a larghi tratti beninteso e senza voler prendere ipoteche troppo impegnative sull’avvenire, sul piano sociale, e così pure in certe manifestazioni specialmente clamorose del mondo dello spirito. Assistiamo, tra l’altro, a una tendenza generale della libido a regredire dalla fase genitale adulta a fasi pregenitali; a un concomitante sempre maggior disimpasto dei protoistinti, con una conseguente sempre più aperta liberazione delle energie aggressive; a una continua subordinazione dell’amore alle esigenze economiche, ossia, in nuce, all’organizzazione istintuale della fase sadico-anale. Questa tendenza porta fatalmente a contrasti economico-sociali – e a conflitti bellici sempre più gravi, e di una distruttività sempre maggiore non solo per l’accresciuta potenza dei mezzi tecnici impiegati, ma per il livello più radicalmente distruttivo delle energie psichiche operanti.