Il II° Congresso di psicoanalisi e la stampa italiana
Psiche, Anno III, n°14-15-16, luglio-dicembre 1950

Il secondo Congresso italiano di psicoanalisi non poteva, naturalmente, passare inosservato nella nostra stampa quotidiana o periodica. Alcune Direzioni hanno, anzi, incaricato «inviati speciali» di riferirne, ed a questi i Congressisti più informati non hanno mancato di dare, ove li richiedessero, ragguagli e spiegazioni.
Tuttavia i risultati sono stati piuttosto scarsi. In nessun periodico abbiamo potuto leggere un resoconto, veramente completo e preciso del Congresso. Alcuni settimanali italiani ,- come ad esempio « L’Elefante », « Epoca », e persino l’aristocratica « Fiera Letteraria »- l’hanno totalmente ignorato. L’ « Illustrazione italiana» se l’è cavata con cinque righe, poste sotto una grande fotografia cui erano effigiate… le tre gentili Segretarie del Congresso.
Mentre Gino Visentini, sul « Corriere d’informazione», ha scritto un articolo lodevole, se pure unilaterale perchè si occupa soltanto della relazione del dott. Perrotti, e Maffio Maffii sul « Messaggero » , pur con varie imprecisioni, ha parlato del Congresso e della Psicoanalisi in modo serio e con mentalità moderna, viceversa non ci sembra in alcun modo perdonabile un articolo singolarmente sconclusionato, apparso sull’austero settimanale liberale «Il Mondo» e firmato Carlo Laurenzi.
Secondo il Laurenzi, il Congresso di psicoanalisi sarebbe stato un « Congresso dei tre » e i tre sarebbero Musatti, Perrotti ed io. Egli trascura e non nomina personalità di primo piano quali, ad esempio, Alessandra Tomasi di Palma, o l’egregio collega Claudio Modigliani – entrambi da molti anni largamente attivi nel movimento psicoanalitico italiano. Ignora la partecipazione al Congresso di illustri neuropsichiatri « ufficiali ». Inventa di sana pianta circostanze e dati di fatto, come quando scrive che l’iscrizione alCongresso costava 5.000 lire (ne costava 3.OOO, e 1000 per gli studenti universitari e possiamo assicurargli che, come: si dice a Roma, « ci abbiamo rimesso ») o quando afferma che Perrotti «prestava in origine le sue cure agli atleti della Società calcistica Lazio » ,(cosa che se vera, lascerebbe il tempo che trova, ma che invece è completamente falsa). Attribuisce alla psicoanalisi americana « migliaia di psicoanalisti autorizzati », mentre gli elenchi dell’International Psycho-Analytical Association ne annoverano esattamente 391. Quanto al sottoscritto, il Laurenzi scrive fra l’altro che io sono un «infaticabile pubblicista» (mentre la mia attività propriamente pubblicitica è scarsissima), e che « non disdegno di occuparmi di metapsichica » – come se occorresse «degnarsi» per avere interesse in ricerche ormai giunte a un alto grado di maturità scientifica (vi sono Laboratori e Cattedre di Metapsichica in varie Università straniere, e in Italia la Società Italiana di Metapsichica è riconosciuta dallo Stato); ricerche alle quali non « disdegnarono » legare il proprio nome famoso uomini come Richet, Driesch o Lodge. A Perrotti attribuisce, e tra virgolette, la frase « La noia è frutto dell’educazione cristiana », da lui mai scritta, né pronunziata. E da ultimo – incredibile a dirsi – fa sostenere come tesi scientifiche, al giovane neuropsichiatra Sigurtà, certi meccanismi nevrotici inconsci da lui identificati in un suo paziente! Citiamo testualmente per coloro che dubitassero: « Il dottor Sigurtà, basandosi su una casistica suggestiva, ha schiuso nuovi orizzonti alla balbuzie (sic). Secondo il dottor Sigurtà, infatti, la parola o logos è un’arma che uccide (era questa invece, s’intende, la fantasia inconscia del paziente da lui curato!): il balbuziente, paragonabile a chi usi con estrema cautela un fucile carico, è un benemerito, del consorzio umano ». Procedendo con questi criteri, si potrebbero attribuire a un psicoanalista tutte le più assurde equivalenze inconsce da lui riscontrare nei suoi analizzandi: la tesi, per esempio, che la donna ha di fatto un membro virile nascosto; o che togliere un oggetto dal proprio orizzonte visivo può far morire il proprietario, e via discorrendo. Non possiamo non meravigliarci altamente che la Direzione de «Il Mondo» abbia lasciato passare sic et simpliciter tutte le « perle » anzidette.
Tra coloro che dal Congresso hanno tratto pretesto solo per scrivere qualche sciocchezzuola non va dimenticata «La Settimana Incom », che’ in un trafiletto anonimo, intitolato « Spendono per Freud », si è limitata a menzionare il costo dell’iscrizione, e a dire che « in tutta Roma si sono trovate 60 persone disposte a spendere 3.000 lire per ascoltare discettare freudianamente sull’esistenza o meno dell’istinto di morte e sul fatto se nasca prima l’Io o il Super-lo ».
Dell’importanza scientifica di ampie relazioni e discussioni su un tema così grave come quello dell’aggressività umana, in tutti i suoi riflessi psicologici e psicopatologici, individuali e sociali, l’autore dello stelloncino non ha avuto, naturalmente, neppure il sospetto. Non sono mancati, naturalmente, i soliti, sgarbati attacchi – questa volta con addentellati pseudò-politici – della solita « Vita e pensiero », la quale – udite, udite!; – si è ispirata, quale fonte autorevole, al già citato articolo del periodico liberale «Il Mondo».
In conclusione, il tono medio adoperato da questi, ultimi e pochi altri resocontisti ha rivelato ancora una volta lo stupefacente grado d’impreparazione di certi nostri ambienti nei riguardi della psicoanalisi: un vero e proprio ‘«provincialismo » culturale, ben altrimenti concreto che non quello attribuito en passant dal già citato Laurenzi al nostro movimento psicoanalitico. Articoli come quelli del « Mondo » o della « Settimana Incom » farebbero arrossire di vergogna, non diciamo le direzioni, ma il pubblico di una rivista inglese, svizzera o americana. Pazienza. Non possiamo far altro se non continuare per la nostra strada, paghi dei consensi sempre, più vasti che vengono alla psicoanalisi italiana da parte degli studiosi seri, e desiderosi, oggi come non mai, che i nostri cantieri siano considerati chiusi da tutti coloro che non sono addetti ai lavori.
EMILIO SERVADIO

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