Lo haschich come rivelatore del subcosciente
Luce e Ombra 1930 pp. 147- 148

Il farmacista E. Pascal pubblica nel n. 1 (gennaio-febbraio) della Revue Métapsychique un ampio studio intorno alla cannnabis indica (haschich) ed ai suoi effetti psicologici. Da osservazioni compiute sopra un soggetto che ha poi descritto minuziosamente le sue impressioni, e dai ragguagli tra i propri esperimenti e ciò che intorno allo haschich è stato scritto dagli autori che se ne sono sin qui occupati, il Pascal desume, e circoscrive come segue, i caratteri dell’intossicazione da cannabis indica: 1° indebolimento della volontà; 2° sensazione di sdoppiamento psicologico; 3° rivelazione di tendenze subcoscienti; 4° spiccata suggestionabilità; 5° ricordo dell’ebbrezza dopo la crisi. Tutte queste caratteristiche vengono esemplificate e corroborate con altre osservazioni, e il Pascal conclude che lo haschich è un mezzo semplice, che permette di agire sulla zona oscura (subcosciente) dello spirito e di esplorarla. Donde la sua possibile utilizzazione in psicologia, psicoanalisi e metapsichica.
A noi non sembra, invece, che l’impiego dello haschich sia giustificato dai risultati che con esso si ottengono, anche rimanendo sopra un terreno, psicologico. Anzitutto non sapremmo accettare la premessa del Pascal, che la sostanza in parola « permette al fondo mentale di rivelarsi facilmente e senza pericolo ». L’assenza di pericolo non è propria all’intossicazione da cannabis indica più di quel che non lo sia quella da oppio, da morfina o da cocaina. Si tratta, in un caso come nell’altro, di mezzi violenti che agiscono profondamente sugli stati di coscienza, e che non saprebbero essere adoperati ripetutamente senza grave danno all’organismo, e in special modo alle facoltà mentali dell’individuo che vi si sottopone. Lo stesso Pascal cita le parole di Baudelaire: l’uomo che ha preso dello haschich ha voluto far l’angelo, ma è diventato una bestia… » ; e il soggetto del suo stesso esperimento, vedendo sfilare dinnanzi agli occhi mille immagini, e assistendo al suo delirio senza poterlo reprimere, pensa di esser diventato pazzo… (p. 54). Da ciò si comprende come non si possa e non si debba sperimentare con simili sostanze senza grandi precauzioni. A questo aggiungansi le caratteristiche del delirio da haschich: « indebolimento della volontà, suggestionabilità spiccata »… Che cosa di veramente nuovo e importante arrecano simili osservazioni alla psicologia? Il processo delle associazioni di idee e di immagini è, a detta degli stessi soggetti, talmente rapido che non può essere fissato in alcun momento: quindi, anche da questo lato, inutilità dell’esperienza, che non può stabilire neppure i tempi di reazione, le modificazioni fisiologiche in concomitanza con quelle di coscienza, ecc.: osservazioni che appartengono alla psicologia elementare, e che qui non riescono a trovare applicazione. Le conclusioni del Pascal non modificano dunque in nulla quanto, in merito agli effetti psicologici della cannabis indica, si conosce da oltre mezzo secolo… Restano le applicazioni metapsichiche e psicoanalitiche: ma, anche dato che si possa, con questi o simili procedimenti, ottenere qualche fenomeno psichico paranormale (chiaroveggenza ecc.) o sondare con rapidità le tendenze latenti di un ammalato nervoso, occorre chiedersi se veramente le jeu vaut la chandelle, e se non sia molto meglio studiare soggetti come p. es. l’Ossowiecki nell’ambiente calmo del laboratorio, ripetendo le esperienze senza pericolo e a proprio talento; o esplorare la subcoscienza di un nevrotico con metodi pazienti e blandi, senza correre il rischio di provocare gravissimi disturbi psichici nel soggetto, o anche, di giungere a diagnosi completamente erronee perchè l’elemento suggestivo, assai potente come si è visto, può fuorviare l’osservazione… La veste scientifica non deve celare i pericoli reali e permanenti di certe esperienze, e, specialmente nel campo della psicologia e di ciò che ad essa si connette, la prudenza non sarà mai troppa…
Emilio Servadio

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