Ancora il preteso «trucco della corda»
Luce e Ombra 1931

Con qualche ritardo siamo venuti a conoscenza di un articolo della Berliner illustrierte Zeitung » (31 ottobre 1930) sul famoso «trucco della corda » mediante il quale certi fachiri indiani e certi giocolieri arabi farebbero vedere lucciole per lanterne a parecchi spettatori ipnotizzati e allucinati. Lo scarso fondamento di simili storielle, e l’impossibilità di documentarle, hanno avuto un’esauriente dimostrazione in un magistrale saggio del nostro Vesme (cfr. Revue Mélapsychique, 1928, numeri 2 e 3). Ma questa volta il relatore sarebbe un testimonio oculare, e precisamente quell’Hanussen, che fu assolto recentemente in un processo intentatogli e che, a quanto dicono i giornali, convinse i propri giudici delle sue facoltà metagnomiche. L’Hanussen avrebbe assistito a Hillah, in Arabia, al famoso « trucco » e intenderebbe spiegarlo non mediante l’allucinazione collettiva, bensì col concorso di ben combinati artifici illusionistici. La corda non sarebbe stata tale, ma composta di nervi animali ricoperti di spago; il pubblico (circa una dozzina di persone) fu disposto contro sole in uno stretto recinto, così da creare un ambiente di scarso controllo e di diminuita attenzione. Dopo una fase preparatoria a base di preghiere, invocazioni propiziatorie, ecc., la corda fu « lanciata » in aria e rimase verticale (secondo l’H.) perché tenuta fortemente da due compari nascosti, nel sottosuolo e dai due giocolieri. Il solito ragazzino si arrampicò velocemente su per questa corda, inseguito dal principale esecutore, e i due sembrarono scomparire nelle nubi: l’H. crede che la stanchezza dello sguardo (dovuta al controluce) e una proiezione fumogena siano spiegazioni sufficienti di questa scomparsa. Seguì quindi la pioggia di membra dilaniate dentro un canestro (stracci confezionati e insanguinati, secondo l’H.) e quindi la discesa del presunto accoltellatore (col ragazzo nascosto sotto il mantello…). La ricomparsa del ragazzo nel canestro e la sparizione delle membra sarebbero state dovute all’abile intervento dei complici nascosti nel sottosuolo.
Non ci sembra che questa argomentazione dell’Hanussen, per quanto ingegnosa, sia molto convincente. Intanto, come al solito, sarebbe stato desiderabile ch’egli avesse prodotto qualche testimonianza, o avesse pubblicato qualcuna delle fotografie che dichiara di aver fatto durante l’esperienza. Non si può dire, anche ammessa la buona fede del relatore, quanta equazione personale egli possa aver introdotto nel suo resoconto. Preferiamo quindi ancora attenerci alla tesi del Vesme e di tutti coloro che si sono occupati seriamente di questi tradizionali racconti: attendere (con scarse speranze) qualche documentazione che sia veramente tale, e respingere serenamente anche questo racconto, insieme agli altri (ancora più fantasiosi, a dire il vero) che ci hanno deliziato sin qui.
Emilio Servadio.

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