Surrealismo e Ricerca Psichica
Luce e Ombra 1931

La pubblicazione del secondo manifesto del Surrealismo (1) e le discussioni che ne sono seguite, in Francia e fuori, ci offrono l’opportunità di considerare da un nuovo punto di vista un interessante argomento, di cui ci siamo già occupati tempo addietro, nel numero di aprile (1930) di «Luce e Ombra».
Qui non importa tanto considerare i rapporti del Surrealismo con certe manifestazioni medianiche (cosa che abbiamo già fatto) quanto esaminare la posizione in cui il movimento, attraverso le dichiarazioni del suo capo, si trova nei confronti delle nostre ricerche. Occorrerà quindi premettere alcuni cenni sugli attuali atteggiamenti surrealisti, quali risultano dal nuovo volume del Breton, per esaminare poi le dichiarazioni dello stesso circa la Metapsichica, e trarre le nostre conclusioni.

E’ mutato il Surrealismo? Parrebbe di sì, almeno a chi considerasse che vari amici della prima ora hanno abbandonato il Breton (tra gli altri Desnos, Ribemont-Dessaignes, Vitrac) e gli hanno rivolto ingiurie sanguinose in un pamphlet che non abbiamo avuto il piacere di leggere, ma di cui lo stesso Breton riporta brani assai significativi. S’intende che altri non hanno partecipato a questa defezione, e mantengono fede al caposcuola. A noi, obbiettivamente, pare che la questione stia in questi termini: alcuni ex-surrealisti si sono irritati o spaventati, con le relative conseguenze, perchè il Breton, lungi dal venir meno alle premesse, dall’abbandonare i capisaldi del movimento, ha insistito sulla perenne attualità, e ha instancabilmente predicato, fissando nel presente volume la sostanza della sua predicazione, che il Surrealismo va considerato come un atteggiamento integrale: non solamente artistico, quindi, ma umano, politico, filosofico, sociale. La filosofia politica del Surrealismo, p. es., che si è venuta identificando con il comunismo marxistico, ha dovuto indubbiamente allontanare parecchi aderenti; e così pure le manifestazioni chiassose di alcun surrealisti, le cui gesta la stampa quotidiana ha riportato in vari occasioni. A noi, però, la lettura del Second Manifeste ha fatto aumentare, oltre al nostro dissenso per le sue idee, la stima che gi avevamo per il Breton, e non tanto quella per il Breton uomo d’ingegno, quanto quella per il Breton uomo di coscienza, che ha pienamente inteso come vita ed arte vadano indissolubilmente congiunte, e come, soprattutto, un movimento che pone canoni di creazione artistica i quali investono le basi più profonde della personalità umana, non possa poi disinteressarsi di questa personalità quando essa si rivolga ad attività diverse da quelle artistiche.
Non vi è sistema ideologico che possa, dopo Hegel, e senza cadere immediatamente, non colmare il vuoto che lascerebbe, nello stesso pensiero il principio di una volontà non agente che per proprio conto, tutta portata a riflettersi su sè stessa (p. 24-25).
Coerentemente con questi principi il Breton predica, p. es., la lotta contro la patria, la famiglia e la religione, ma non al solo scopo di un mutamento politico, bensì perchè si realizzi in tutti piani la radicalmente nuova ed originale visione del mondo di cui il Surrealismo si è fatto banditore. Una critica al Surrealismo non può più dunque essere oggi limitata all’uno o all’altro campo: dev’essere una critica di Sfandpunkt, o rassegnarsi a non colpire nel segno.
In questo suo nuovo scritto il Breton precisa sufficientemente i più vasti orizzonti del movimento surrealista:
Si dovrà ben finire per riconoscere che il Surrealismo ha inteso soprattutto provocare, dal punto di vista intellettuale e morale, una crisi di coscienza della specie più generale e più grave… (p.2). Il problema dell’azione sociale non è… che una delle forme di un problema più generale che il Surrealismo si è proposto di sollevare: quello dell’espressione umana in tutte le sue forme (p. 42).

E via discorrendo. Qual’è, ora, questa crisi di coscienza? Qual è questo problema dell’espressione umana?

Poiché secondo lo Hegel, che il Breton cita così volentieri, la filosofia è « la forma in cui le esigenze che oscuramente agiscono nei vari campi della cultura e dell’attività di un’epoca vengono a consapevolezza di sé medesime », a noi par chiaro che in termini filosofici si debba porre anche qui la questione. Il Breton, come tanti altri, ha sentito, dapprima incompiutamente (Manifeste del 1924), poi con sempre maggior chiarezza (Nadja e altri scritti intermedi sino a questo che ci occupa), quello che oggi è il problema filosofico capitale: il problema dell’lo. Le conclusioni della filosofia contemporanea, immanentistiche, culminanti nell’affermazione che l’Io non può essere trasceso, hanno provocato e provocano difficoltà enormi agli stessi filosofi (cfr. specialmente la comunicazione Calogero al VII Congresso italiano di filosofia), e hanno spinto altri a strani e interessanti tentativi di superamento della filosofia in forme mistiche, occultistiche, ecc., per non dire delle pseudosoluzioni di alcuni altri ancora, che dimostrano un’ignoranza del problema piuttosto che un tentativo di viverlo e di risolverlo. Il Breton non appartiene certo a questi ultimi, bensì a coloro che hanno cercato coraggiosamente di andare oltre la filosofia: e fin dal tempo in cui consigliava la scrittura automatica quale possibile mezzo di dar nascita a realtà poetiche nuove, l’esigenza da lui posta è stata quella di svegliare le radici più profonde della personalità, di prender contatti sempre più frequenti con le misteriose energie subconscie, di fare una parte sempre più larga a quel mondo che non è il mondo della coscienza di veglia, e la cui natura metaumana ci appare di quando in quando, come uno sprazzo subito estinto, in termini di esperienza interiore pressoché incomunicabile. Questa forma estrema d’irrazionalismo culmina nell’affermazione, secondo la quale occorre abdicare quanto più possibile al controllo dei centri superiori (volontà, ragione) per lasciare sempre più libero il campo alla fiumana impetuosa del subcosciente.
Nel Second Manifeste l’esigenza, come abbiamo detto, è generalizzata: non si tratta più di applicarla alla creazione artistica, ma all’attività umana, in misura sempre maggiore.
Tutto induce a credere che esiste un punto dello spirito (la cui la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso, cessano di esser percepiti come contraddizioni. Ora, invano si cercherebbe nell’attività surrealista un altro movente che la speranza di determinare questo punto (p. 10); per raggiungere il quale il Surrealismo tende al ricupero totale della nostra forza psichica con un mezzo che non è se non la discesa vertiginosa in noi stessi, l’ illuminazione sistematica dei luoghi nascosti e l’oscuramento progressivo degli altri… (p. 23). In poesia, in pittura, il Surrealismo ha fatto l’impossibile per moltiplicare i corti circuiti. Esso non tiene e non terrà mai a nulla, quanto a riprodurre artificialmente il momento ideale in cui l’uomo, in preda a una particolare emozione, è subitamente afferrato da quel «più forte di lui» che lo proietta, costretto all’estrema difesa, nell’immortale… (p. Il Breton predica la vita passiva dell’intelligenza (p. 55), il lungo, immenso, ragionato sregolamento di tutti i sensi (p. 69); infine «la ricreazione di uno stato che non abbia più nulla da invidiare all’alienazione mentale» (p. 71).
Come si vede, la soluzione del problema dell’Io si risolve qui in una vera e propria fuga dall’Io, intendendo questo breve dittongo come quel quid che precisamente s’identifica con l’autocoscienza. Anziché rivolgersi, come altri, a un eventuale potenziamento di questa, a una sua ulteriore conquista nei confronti del mondo empirico, a un suo consolidamento superiore, il Breton lancia il Surrealismo sulla china pericolosa dell’avventura psichica, tende a scardinare le porte che difendono la personalità dalle irruzioni sregolate di tutto ciò che sta dietro le quinte della coscienza. La nostra opposizione, di fronte a questo indirizzo, non può quindi essere, ancora una volta, che radicale e assoluta, posto che noi consideriamo la coscienza come una conquista, e auspichiamo proprio a una sempre maggior «riduzione quantitativa» di ciò che, nell’intimo nostro, avviene, si può dire, a nostra insaputa. Ogni sviluppo, ogni applicazione delle teorie surrealiste ci troverà quindi, in questo senso, avversari recisi, poiché tra le due posizioni non vi è comunicazione o possibilità di compromesso, bensì salto. E tale ultima istanza del Surrealismo ci offre finalmente, forse appunto perché ci trova antagonisti (2), un campo di studio e di osservazione obbiettiva, un oggetto cui applicare alcuni criteri propri alle ricerche che coltiviamo.

La posizione del Breton di fronte alle ricerche psichiche, dichiarata esplicitamente in questo Second Manifeste, era apparsa già in modo abbastanza chiaro in suoi scritti precedenti, soprattutto in Nadja e nella Lettre aux voyantes, premessa alla seconda edizione (1929) del Manifeste du Surréalisme. Tale posizione è in sè eminentemente contraddittoria, come cercheremo di dimostrare.
L’importanza riconosciuta dal nostro autore, e da parecchi surrealisti, alle coincidenze strane, ai casi di chiaroveggenza e di telepatia, al mondo metapsichico in genere, non è che una conseguenza delle premesse che abbiamo ormai chiarite. Ma questo riconoscimento, per essere conseguente, avrebbe dovuto portar con sé uno studio sistematico di tali fenomeni, qual’é appunto condotto dalla Metapsichica. Senonchè, il porsi risolutamente su questo piano avrebbe portato il Breton e il Surrealismo proprio sulla via opposta a quella che secondo essi è da seguire. A che cosa tende, infatti, la Metapsichica, se non a un’acquisizione progressiva e consapevole, da parte dello spirito umano, di un ordine di fenomeni ancora in gran parte fuori da ciò che esso spirito conosce? E a che cosa tende invece il Surrealismo, se non a spostare l’asse della personalità, e a lasciare che il mondo metapsichico la invada senza controllo? Da un lato abbiamo un tentativo di chiarificazione e di conquista; dall’altro la tendenza allo scompiglio e all’evasione. Tale antitesi nel campo puramente concettuale trova, come abbiamo visto, il suo netto riscontro nel campo artistico, poiché per il Breton e i surrealisti il momento estetico va riprodotto « artificialmente », con qualsiasi mezzo, mentre secondo il nostro modo di vedere solo un progressivo arricchimento interiore, perseguito senza secondi fini, è quello che può dare, per sovrabbondanza e come dotto, il poema, il quadro, la sinfonia. Anche qui l’antitesi non potrebb’essere, come si vede, più netta. Ma per tornare al campo che ci é familiare, non certo senza una profonda ragione che il Breton, così accessibile al sospetto di realtà metafisiche, sospetto che pervade da un capo all’altro Nadja, che traspare di continuo anche nei suoi scritti teorici, che gli fa considerare con simpatia perfino l’occultismo – non è senza una profonda ragione, diciamo, che il Breton si mostra poi, di fronte alla Metapsichica, così curiosamente ingenuo e circospetto:
Non ci può essere indifferente di sapere se, per esempio, certi soggetti sono capaci di riprodurre un disegno posto in una busta opaca e chiusa, anche lontano dall’autore del disegno e di chiunque potesse esser stato informato di ciò ch’esso rappresenta (p.90).
A quasi cinquant’anni dalla fondazione della «Society for Psychical Research », in una Parigi dove sono state condotte le migliori esperienze di Ossoviecki, si riconoscerà quanto di sorprendente vi sia in una simile dichiarazione, da parte di un individuo aperto a priori a qualsiasi sovversione della psicologia ufficiale.
Più oltre il Breton « scopre » le corrispondenze incrociate:
Nel corso di varie esperienze concepite come «giuochi di società» testi surrealisti ottenuti simultaneamente da parecchie persone che scrivono a una data ora nella stessa stanza, ecc., pensiamo di aver fatto sorgere una curiosa possibilità del pensiero. cioé quella di poter esser messo in comune (p. 96).
Questo, dopo decenni di studi sulla telepatia sperimentale e dopo l’accertamento dei molteplici ben noti casi di cross-correspondence!
Ma le sorprese non sono terminate, poiché il Breton finisce addirittura con lo «scoprire» il metodo metapsichico:
Nulla sarebbe meno inutile che il seguire certi soggetti, presi tanto nel mondo normale che nell’altro, in uno spirito diverso, al tempo stesso, da quello del baraccone da fiera e da quello del gabinetto medico… (p. 97).
Ognuno, che sia al corrente dell’atteggiamento dei metapsichisti, sa che esso consiste appunto nel mantenere un difficile equilibrio di fronte ai fenomeni cui non si può e non si deve rivolgersi né con cieca credulità né con la prevenzione che é propria alla scienza accademica. Ma tale spirito é per il Breton lo spirito surrealista (ibid.). Dopo quanto abbiamo detto, ci sembra che la contraddizione risulti stridente, senza bisogno di ulteriori documentazioni.

Quanto a noi, attendiamo i surrealisti al varco, e particolarmente il Breton, nel quale si assommano le caratteristiche essenziali del movimento. Non crediamo affatto a una possibile collaborazione tra noi e loro, nel campo delle ricerche sui fenomeni medianici e sui problemi del subcosciente, perchè occorrerebbe, affinché ciò fosse, ch’essi risolvessero l’antitesi: rinunziassero, cioè, all’avventura psichica e si mettessero a studiare nel nostro senso. Sinora, i loro rapporti con le ricerche psichiche non possono essere, e abbiamo cercato d’indicarlo, se non come da oggetto a soggetto, pari in ciò a quelli dei medium, dei chiaroveggenti e via discorrendo. Il Surrealismo, da questo punto di vista, non saprebbe essere abbastanza raccomandato come oggetto di studio: studio particolarmente difficile, in quanto nelle sue produzioni si alternano elementi propriamente automatici e lampi di attività artistica più o meno cosciente, che occorrerà sceverare con cura. Meglio che altri movimenti d’avanguardia, il Surrealismo si presta ad essere osservato e studiato in Metapsichica, perchè più caratteristica è in esso la frequenza di apporti del subcosciente: spiragli attraverso i quali si potrà sempre maggiormente indagare il processo psicologico della creazione artistica, che è uno dei problemi ignoti all’estetica come tale, e di dominio di una psicologia più larga, quale in sostanza è e vuol essere la Metapsichica moderna. La tendenza alla «confessione», alla «catarsi ad ogni costo», anche prescindendo dal valore artistico, propria a parecchi Surrealisti, potrà esser di valido aiuto, in questo senso, se pur gli individui particolari non si rifiutino, com’è probabile, di esser considerati quali soggetti d’esperienza.

Estrema punta, «coda prensile» del Romanticismo, come il Breton lo definisce, il Surrealismo sembra non aver compreso che ogni azione romantica è l’aspirazione verso una superiore classicità, ogni rivolta la tendenza a un ordine nuovo, ogni rottura di dighe il bisogno di acque più vaste e più calme. A coloro che sanno, nello stesso tempo, agire e contemplare, spetta, ora come sempre, dirigere queste aspirazioni e queste rivolte, contribuire a render più chiaro il contributo che comunque esse portano all’economia dello spirito, affrettare insomma l’incontro delle acque in tumulto con la semplice e olimpica vita del mare.
Emilio Servadio

1) Andrè Breton, Second manifeste du surréalisme, Ed. Kra, Paris, 1930, frs. 18

2) A questo proposito desideriamo introdurre un’osservazione, che non ci sembra del tutto priva di valore, e che potrebbe giustificare in sede più generale una frase apparentemente strana e contraddittoria. Non è forse assurdo pensare che l’elezione di un oggetto di studio sia determinata, da parte di chi compie la scelta, proprio da un suo sentirsi «più Io» di fronte ad esso. Qui si entra, naturalmente, in un campo in cui poco valgono le argomentazioni logiche, e solo soccorre l’esperienza personale. Per conto nostro, confessiamo senza esitazione che il nostro interesse per i fenomeni cosiddetti metapsichici in noi consolidato proprio dall’esigenza opposta a quella che spinge molti a diventare medium, chiaroveggenti, ecc., ossia ad abdicare, sia pure parzialmente, alla loro, personalità, a vantaggio di forze non controllate. Così si potrebbe pensare che il medico è spinto allo studio della malattia da un’affermazione imperiosa del proprio Io nel senso della salute; che lo zoologo studia gli animali come le forme più lontane dalla propria tendenza all’anti-animalità; che l’astronomo rivolge la propria attenzione agli astri come a ciò che è più in contraddizione con la sua personalità limitata e terrestre, e il cui metro egli si sforza di applicarvi: insomma, che ognuno è attirato verso ciò che di fronte al proprio Io viene maggiormente sentito come «difetto» , come un qualche cosa che l’io particolare è più indicato a negare come valore in sé ; di fronte al quale meglio, e con maggiore risalto, l’io stesso può porsi. Ameremmo che altri ci confermassero o ci contraddicessero in questo punto di vista, al quale per ora non sappiamo trovare altra giustificazione se non nell’impulso a generalizzare la conclusione personale: impulso pressoché indipendente, per quanto possiamo rendercene conto, da una razionale evidenza.

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