I capricci della memoria
Ricordiamo non già per un processo meccanico, ma guidati dall’affettività.
Il Tempo 07/02/1956
Un illustre amico, di cui non è necessario fare il nome, raccontava giorni or sono che un suo conoscente, pur sapendo a memoria tutta la Divina Commedia (e scusate se è poco!), si era mostrato incapace di ricordare alcuni recenti episodi della sua stessa vita. Come può essere – si chiedeva il nostro amico – che la memoria funzioni in modo così irregolare, e anzi contraddittorio, in una stessa persona? Quel Tizio, insomma, ha « buona memoria », o non l’ha?
Il quesito è interessante, e induce alla messa a punto di un problema che occupa e· preoccupa molta gente, specie – coloro che in un modo o nell’altro hanno a che fare con l’insegnamento (studenti, maestri e… genitori). « Il mio ragazzo non riesce in geografia perché non ha memoria. » « Se si tratta d’imparare trenta versi del Petrarca o del Foscolo a memoria, io non ce la faccio. » Quante volte abbiamo sentito discorsi del genere!
Ma un episodio risale… alla mia memoria. I genitori di uno studente quattordicenne deploravano un giorno in mia presenza che il loro figliuolo riuscisse maluccio a scuola perché non ricordava quel che leggeva, neanche dopo tre, quattro, cinque riletture ad alta voce. Poi si parlò d’altro, e a un certo punto mi accorsi che quel ragazzo era perfettamente edotto della classifica del campionato di calcio, della composizione delle principali squadre di serie A, dei risultati di tutte le partite internazionali giuocate dalla rappresentativa italiana negli ultimi tre o quattro anni. Non potei esimermi dal far notare ai miei conoscenti che la memoria del loro figliuolo, nel settore calcistico, era tale da permettergli di concorrere a « Lascia o raddoppia »… La cosa finì lì, ma il problema è sempre lo stesso. Perché il calcio si, e la storia o la matematica no?
A interrogativi del genere non è certo possibile rispondere se si considera il fenomeno della memoria come strettamente meccanico, e il funzionamento della facoltà mnemonica come analogo a quello di un disco di grammofono, o di un registratore a nastro. La memoria non è un processo meccanico; o per dir meglio, non è soltanto registrazione più o meno agevole, più o meno fedele, di impressioni ricevute. La memoria, come tanti altri processi psichici umani, è promossa, guidata o impedita dall’affettività; e questa, a sua volta, è dominata da fattori solo in parte controllati dalla deliberazione volontaria e dalla coscienza.
Una delle grandi scoperte della psicologia del profondo è stata appunto questa: che la memoria soggiace anch’essa ad attivazioni o a inibizioni inconsce. Si è constatato ad esempio infinite volte, nella pratica psicoanalitica e psicoterapica, che molte vicende passate di un soggetto non possono essere da lui ricordate, perché a ciò si oppongono potenti inibizioni, che rendono impossibile la relativa presa di coscienza. Mediante l’analisi, le inibizioni vengono allentate, e i ricordi affiorano. Non è però strettamente necessario, perché un’esperienza non venga ricordata, che a ciò contrastino irragionevoli remore o blocchi emozionali incoscienti. Basta, molte volte, che i contenuti non ricordati presentino per il soggetto un interesse scarso o nullo, o che siano contrassegnati da un tono affettivo anche lievemente sgradevole. In questi, come nei casi di vera e propria amnesia da inibizione, vi può essere una notevole contraddizione fra intenzione cosciente di ricordare, e difficoltà inconsce. Il desiderio consapevole di ricordare un nome dimenticato può urtare contro ostacoli incoscienti ed irrazionali, dovuti al fatto che quel nome è associativamente legato a esperienze o fantasie sgradevoli, o temibili (e di questo fenomeno Freud ha dato brillanti esempi nella sua celebre Psicopatologia della vita quotidiana). La volontà cosciente di rammentare una pagina di storia può contrastare col fatto che in fondo, di quegli eventi storici non c’importa e non c’interessa un bel nulla!
Si può star sicuri che in quel Tizio, il quale sapeva a memoria la Divina Commedia, ma non ricordava quali fossero stati certi suoi rapporti di vita con date persone, agivano volta a volta cariche psichiche di potenziale differentissimo. Non sapremmo dire se l’aver imparato a mente la Divina Commedia rispondesse in lui a un vero interesse letterario, o se, come è assai più probabile, egli fosse stato spinto a ciò da impulsi esibizionistici anche non del tutto coscienti. Senonchè possiamo esser certi che ciò che non ricordava, non l’aveva mai veramente interessato, o poteva associarsi a contenuti psichici spiacevoli.
Gli psicologi classici, con Wundt, Paulhan o Weber, non avevano mai colto nel segno quando dissertavano di « memoria affettiva » – semplicemente perché non avevano una nozione esatta della dinamica dell’inconscio, dei suoi conflitti, delle energie poderose che vi giuocano, e delle differenze capitali che esistono fra il pensiero cosciente e le sue premesse affettive inconscie. La memoria, come tanti altri processi di cui avvertiamo soltanto i aspetti terminali e coscienti, subisce anch’essa l’influenza della parte inconscia della nostra personalità. Anche se si può ammettere che un individuo possa avere « miglior memoria » di un altro (nel senso che le possibilità puramente strumentali di certe sue funzioni mentali siano maggiori), non si può mai prescindere dalla necessità di inquadrare il fenomeno memoria nel contesto globale di una personalità.
Emilio Servadio