Casi recenti dl autoscopia
Luce e Ombra 1930

Nel numero 3 (maggio-giugno) della « Revue Métapsychique » il dottor Eugène Osty prende in esame alcuni casi recenti di «visione di sé medesimo », o autoscopia, e riesamina all’occasione le caratteristiche di questo curioso fenomeno, che può ormai considerarsi come in margine alla stessa ricerca psichica, dopo le ripetute esperienze del periodo « magnetistico » e le classiche pubblicazioni del Comar e del Sollier.
Col termine « autoscopia » si possono intendere due ordini assai diversi di fenomeni: uno è quello per cui, giungendo ai centri nervosi di un soggetto sensazioni ben nette, provenienti da organi del cui comportamento non si ha di solito precisa coscienza (visceri, ecc.), il soggetto stesso crede di « vedere » l’interno del proprio corpo e descrive con esattezza processi, per lo più patologici, che in genere non sono accertabili. Tale era il caso di certi sonnambuli, i quali seguivano, p.es., il corso di un’infiammazione intestinale come se essa si fosse svolta sotto i loro occhi. Non è da escludere che in simili casi intervenga talvolta l’esercizio di vere e proprie facoltà chiaroveggenti.
Negli altri casi (e sono quelli che l’Osty prende in considerazione, dopo aver riassunto i passi principali del’ volume del Sollier) il soggetto «vede » sè stesso come se si trattasse di un’altra persona, più o meno distintamente s’intende, e con modalità assai diverse a second •a delle proprie condizioni psicologiche e fisiologiche. Anche di questa forma di autoscopia abbiamo esempi celebri, a cominciare dai casi 6ccori a Goethe, a De Musset, a Maupassant; molti altri sono ricordati dal &llier, e l’argomento ha tentato persino i narratori (si pensi, per tutti, al Williàpi Wilson di Edgar Allan Poe).
Il dott. Osty comunica, nel citato articolo della « Revue Métapsychique », tre tipici casi, il primo dei quali è stato riferito al prof. Richet nel 1928, gli altri a lui personalmente nell’anno in corso. Il sig. L. L. Hymans (primo caso) ebbe due volte la visione di sè stesso: la prima durante un’anestesia, nel gabinetto di un dentista; la seconda durante uno svenimento, in una camera d’albergo. In entrambi i casi egli vide il proprio corpo inerte, come un oggetto a sé, e la seconda volta, protraendosi il fenomeno, ritenne di esser morto; il risveglio fu sempre preceduto da una nuova (apparente?) perdita di coscienza.
La seconda relazione è stata fatta al dott. Osty dal sig. Charles Quartier, collaboratore della « Revue Métapsychique ». Questi, durante uno svenimento, vide sè stesso abbandonato sopra un sofà, con la testa riversa, e pur provando « una sensazione piacevolissima e quasi indescrivibile di espansione, di pienezza, di universalità, di leggerezza estrema », comprese di non dover lasciare il proprio corpo in quelle condizioni, e si sforzò di avvertire sua madre, che conversava in un’altra camera. Questa infatti si mosse, avvertendo gli ospiti che il figlio doveva aver bisogno del suo aiuto; qui sopravvenne al relatore un’amnesia, e i suoi ricordi riprendono dal proprio risveglio, con la madre vicina e intenta a soccorrerlo. La madre del relatore conferma questo racconto in ogni suo particolare, compreso quello dell’avvertimento telepatico.
Il terzo caso è quello della signora Nathalie Annenkof, la quale, recatasi a visitare la tomba della propria figlia, si sentì anch’essa a un tratto « staccata » dal proprio corpo, che vide sotto di sè, restando immersa in una sensazione totalitaria di estrema euforia. Vide il guardiano del luogo avvicinarsi, osservarla, poi chiamare soccorso. Il risveglio avvenne gradatamente, come per un « rientrare » nella spoglia temporaneamente abbandonata. Il fenomeno si ripetè anche in altra occasione, mentre la protagonista era intenta alla lettura, nel proprio letto, e si svolse allo stesso modo.
Passando ai tentativi d’interpretazione dei fenomeni d’autoscopia, l’Osty (dopo aver ricordato la spiegazione proposta dal Sollier, che li riduce a disturbi della sensibilità generale complicati da allucinazioni più o meno intense) menziona una differenza sostanziale tra i casi riferiti, e quelli contemplati dal Sollier: nei casi Sollier il soggetto, senza perdere la coscienza, vedeva o percepiva il proprio doppio a mo’ di fantasma; nei casi Osty è il doppio che ha visto il corpo (e sin qui non sarebbe necessario introdurre altre ipotesi interpretative), e che, soprattutto, ha assistito a scene che si -sono svolte intorno ad esso. Qui l’ipotesi allucinatoria non basta più, e oc-corre ammettere o che l’allucinazione sì è accompagnata con percezioni veridiche, fondendosi poi nella memoria con esse, o (caso Quartier) che nello stesso stato di coscienza che rende possibile il fenomeno si manifestano facoltà psichiche paranormali. Acutamente l’Osty richiama il paragone dei sogno, a contenuto generalmente irreale, ma in cui talvolta si prende conoscenza di eventi reali nel tempo o nello spazio (sogni chiaroveggenti, premonitori, ecc.). Un processo analogo potrebbe avvenire in certi casi di autoscopia, come in quelli, genericamente, che presuppongono una parziale o totale obnubilazione della coscienza di veglia.
Emilio Servadio

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