Scienza «vera» e scienze «false»
Luce e Ombra 1930 pp.236-241

Sommario: Si contestano le tesi di Emile Meyerson circa l’infondatezza di alcune scienze in formazione, in base a premesse metodologiche generali e a precisazioni nell’ambito dei singoli indirizzi considerati.

Emile Meyerson ha pubblicato, nel n. 395 (10 maggio) delle Nouvelles Littéraires, un articolo intitolato « Les fausses sciences », in cui si combattono aspramente « astrologi, alchimisti, grafologi e rabdomanti », e si dichiara la nullità dei tentativi che mirano a riconoscere un fondamento alle loro ricerche. Si tratterebbe, secondo le stesse parole del Meyerson, di scienze false e fittizie, in contrapposizione alla « vera » scienza, la quale avrebbe quindi l’obbligo di « trattare tutte le affermazioni relative come nulle ed insussistenti ».
È interessante notare che il Meyerson intende giungere a questa asserzione non tanto da un esame particolare dei tentativi in discorso, quanto dalle premesse medesime della sua metodologia della scienza: e dimostra una volta di più, col suo stesso esempio, come dalle teorie meglio ragionate (non esitiamo a dire che i due volumi del M., De l’explication dans les sciences, sono il contributo più notevole dell’ultimo decennio alla teoria della scienza), si possano dedurre, per mancanza di singoli approfondimenti, le conclusioni più erronee. Scrive il Meyerson:
L’affermazione di un fatto scientifico deve aver per base, necessariamente, un calcolo di probabilità, e questo, a sua volta, deve appoggiarsi sopra una statistica.
Ammesso dunque che la statistica sia stata fatta, ed eseguito il calcolo delle probabilità, tutto consisterà nella valutazione dei dati che ci verranno forniti e dall’una e dall’altro. Ora, il Meyerson riconosce giustamente, col Lavoisier, che appunto in questa valutazione sta la difficoltà, specie quando si tratti di discipline biologiche o affini alla biologia, e ci informa che « nei lavori scientifici ben tatti, dati statistici si presentano favorevoli, senza eccezione, alla formula sostenuta »; che: anche eseguite dagli sperimentatori più abili, le esperienze talora non riescono, e che allora si trova, in genere, ogni sorta di spiegazioni a questi insuccessi, e, altrettanto frequentemente, non se ne tien conto nell’enunciato dei risultati.
E aggiunge che quando le condizioni sono abbastanza semplici, la cosa non ha conseguenze; ma che talora invece essa ne ha, come nel caso attuale dei chimici che studiano i composti complessi, e che spesso non riescono a verificare l’esistenza di corpi descritti dai loro predecessori.
Sempre mantenendoci sopra un piano metodologico, e riservandoci di esaminare più oltre le osservazioni del Meyerson nell’ambito dei singoli indirizzi presi in esame, osserveremo che, rebus sic stantibus, non si vede per qual ragione il Meyerson non estenda alla scienza in genere le conclusioni pessimistiche che si crede autorizzato a trarre per la astrologia, la grafologia, ecc. Egli dice infatti, che l’insussistenza di queste « false scienze » è dovuta appunto all’elemento di pseudo-valutazione che s’inserisce nelle statistiche e nel calcolo delle probabilità. Ma un attimo dopo ci addita, offrendoci egli stesso un’arma, che tale elemento s’insinua anche in una scienza « vera », come la chimica: quale criterio dunque, se non quello di un eterno « a posteriori », ci permetterà di dire che i chimici d’oggi hanno ragione e che quelli di ieri avevano torto? E quale criterio ci autorizzerà a dire che le statistiche di un Choisnard o di un Kraftt, per l’astrologia, sono meno fondate di quelle che presiedono agli enunciati, di altre scienze? È meglio allora rifarsi a un certo idealismo, assegnando alla scienza valore di creazione e non di scoperta, e ciò si ritorcerebbe ancora contro il Meyerson, che nella sua principale opera tenta appunto di superare la critica idealistica della scienza.
Ciò, in tesi generale. Ma un’altra mancata distinzione del Meyerson ci consente un nuovo ordine di obbiezioni. Contrapponendo una scienza « vera » alle « false scienze », egli sembra non considerare che esistono scienze, le quali non saranno certo da lui dichiarate « false »,- che procedono secondo metodi diversi da quelli delle cosiddette « scienze pure », e ciò per la loro stessa natura di scienze « riducibili », teoricamente almeno, ad altre: la meteorologia, per esempio, deve limitarsi a trarre le proprie leggi in un ambito constatativo, e non per questo non le verrà riconosciuta una propria scientifica dignità. Per tali scienze non si potrebbe dunque parlare, come scrive generalizzando il Meyerson, di una « fibra » isolabile, che unisca strettamente il fenomeno alla sua condizione. Lo stesso, ci sembra, potrebbe dirsi di una « scienza grafologica » o di una « scienza astrologica », ecc.. sfrondate beninteso di qualsiasi misticismo, suscettibili di molti ulteriori approfondimenti, ma non fondate sul nulla, bensì, come è il caso negli scritti di un Choisnard, di un Krafft o di un Crépieux-Jamin, sopra statistiche e calcoli di probabilità che occorre prendere in seria considerazione, prima di respingerli come viziati ed erronei. Ciò posto, è chiaro che della legittimità di tali « scienze » non si può discorrere senza aver seguito sul loro terreno i cultori di esse, e aver additato gli errori in cui possano essere incorsi. A priori la dimostrazione che una scienza su base statistica è « falsa », abbiamo visto che non si può dare.
Quest’ordine di considerazioni, unito a quanto abbiamo detto più sopra, permette di rendersi conto del misconoscimento, che perdura in molta parte degli ambienti scientifici, relativo alla metapsichica, che pure va continuamente affinando i suoi metodi e precisando l’accertamento dei fenomeni psichici paranormali. Anche qui si tratta di un apriorismo sistematico, apparentemente giustificabile in sede metodologica, ma che riceve una smentita ogni qualvolta uno scienziato si metta, con perseveranza, a occuparsi di tali ricerche. È inutile ricordare i casi, numerosi e assai noti, in cui questo è avvenuto.

E’ ora di qualche interesse vedere quali obbiezioni il Meyerson accampi nell’ambito delle singole scienze, da lui aprioristicamente definite come « false ». Premettiamo che non è nostra intenzione esaminare il caso della moderna alchimia, che è tale, a quanto ne sappiamo, soltanto di nome e di cui alcune clamorose esperienze «ufficiali », del tipo di quelle di Rutherford, sembrerebbero confermare i postulati, relativi all’unità fondamentale della materia e quindi alla possibile trasmutazione degli elementi. Diremo soltanto che alcuni isolati, tipo Jollivet-Castelot, proclamano da anni di essere riusciti in queste trasmutazioni, e che le accademie scientifiche si sono rifiutate sistematicamente di verificare le loro esperienze, dichiarandole insussistenti prima di conoscerle: salvo, naturalmente, a modificare questo giudizio non appena un titolare di cattedra universitaria avrà affermato di ottenere risultati analoghi.
È curioso, a questo proposito, constatare che il credito derivante da una situazione accademica può far vedere a tutto un mondo scientifico, e per lungo tempo, lucciole per lanterne, come avvenne per i famosi raggi N, dei professori Blondlot e Charpentier… E non insisteremo, perché non abbiamo sufficiente familiarità con le teorie di questi neo-alchimisti, e non ci sentiremmo di affrontare né in pro né in contro una questione se non a ragion veduta. Accenneremo invece alle altre tre « false scienze », cioè all’astrologia, alla grafologia e alla rabdomanzia, in relazione alle critiche del nostro illustre antagonista.
Sull’astrologia, veramente, il Meyerson poco si sofferma, limitandosi a dire che « la credenza in un’azione diretta e dominante degli astri sugli avvenimenti politici e sulle cose umane in genere è tutt’altro che spenta », e che « fra i suoi partigiani si trovano persone che da altri punti di vista debbono esser considerate come spiriti colti ». Evidentemente il Meyerson non considera, o non vuoi considerare, che tra l’astrologia classica e l’astrologia moderna c’è una differenza sostanziale di metodo, che permette di respingere senz’altro, come sprovviste di prova, le affermazioni generiche circa i rapporti fra gli astri e l’umanità contenute nei trattati medioevali, ma non permette altrettanto facilmente di respingere le conclusioni, p. es., di un Krafft, il quale (1), fondandosi su statistiche ricavate da diecine di migliaia di atti di nascita, ha dimostrato che la frequenza delle nascite maschili piuttosto che femmmiii, o viceversa, è variabile a seconda dell’ora, della stagione, della posizione del sole o della luna, ecc., e segue curve, statistiche periodiche e ben determinate: senza voler perciò giungere ad alcuna conclusione mistica, ma semplicemente ponendo dinnanzi all’osservatore spassionato dei nudi fatti, quali risultano da uno sfibrante lavoro di raccolta durato vani anni. Si può rimproverare al Krafft un errore di metodo? No, giacche, egli si basa sull’induzione largamente intesa, cioè sui grandi numeri, come è di rigore in ogni procedimento scientifico induttivo; ed è assai meno pensabile in questo caso, che nel caso della chimica o della fisica, una valutazione erronea dei dati, i quali risultano da documenti dello stato civile, sono quelli che sono, e non si prestano a deformazioni.
Potremmo ricordare l’opera di vari altri studiosi, che intendono in questo modo, e soltanto in questo, di raggiungere dei solidi Slandfpunkle da cui far sorgere la nuova astrologia. Ma non è questa la sede più adatta, e preferiamo dichiarare una volta ancora che se siamo d’accordo col Meyerscn circa la necessità di respingere le affermazioni di chi volesse restaurare la defunta astrologia medioevale, non crediamo perciò affatto che ogni cosa debba essere confusa e messa nello stesso sacco: sarebbe come assimilare la cura Voronoff a uno specifico di quarta pagina, o le teorie di Jeans a quelle di Paneroni.
Per la grafologia, il ragionamento del Meyerson è il seguente (riassumiamo le sue parole): occorrerebbe stabilire un sistema di regole, per le quali a un dato segno corrispondesse una specifica qualità personale, di carattere, d’intelletto, ecc. In mancanza di questo corpo di regole precise, la grafologia è una «falsa scienza»… Ognuno vede quanto sia difettoso questo modo di ragionare, che vorrebbe riconoscere legami immediati (« fibre », direbbe il Meyerson) di causa ad effetto, simili a quelli della, fisica o della chimica, nell’ambito di scienze che per definizione debbono ricavare le loro conclusioni in base a ordini di constatazioni concomitanti, non riducibili se non teoricamente a constatazioni singole, e quindi, in una parola, « di tendenza ». E’ inutile ricordare quante leggi di tendenza si hanno nelle scienze biologiche: leggi che vengono riconosciute come tali, e che nessuno potrebbe invalidare in base ad una riconosciuta mancanza delle « fibre » meyersoniane. Si sa, supponiamo, che una certa febbre segue un certo decorso, ma non si può stabilire a priori, minuto per minuto, la temperatura che segnerà il termometro. Vorremo dire perciò che la legge è insussistente? Così pure, quando dall’esame di mille calligrafie saremo giunti alla conclusione, p. es., che l’80 per cento di quelle che recano il taglio del t fatto in un certo modo appartengono a persone energiche, avremo già un certo elemento di discriminazione, che unito ad altre svariatissime osservazioni permetterà di fissare delle vere e proprie « leggi di tendenza » grafologiche, altrettanto precise, perchè fondate su statistiche, quanto quelle di singole scienze a base induttiva.
Ancora una parola circa la rabdomanzia. Per dimostrarne la validità, scrive il Meyerson:
Occorrerebbe compiere un certo numero di esperienze, eseguite in condizioni che garantissero ampiamente la buona fede dell’operatore, e che permettessero di fare una lista dei successi e degli insuccessi in modo da stabilire se il numero dei primi supera notevolmente la proporzione che risulterebbe da un’applicazione pura e semplice delle leggi del caso…
A leggere queste righe, e a vederle firmate da un Meyerson, par davvero di sognare: parlare di « applicazione pura e semplice delle leggi dei caso » in un problema qual è quello di trovare una falda acquea sotterranea in uno spazio di un certo numero di ettari equivale a credere che si possano davvero eliminare tutti gli innumerevoli elementi estrinseci alla determinazione delle probabilità, che si possa cioè stabilire precisamente il rapporto tra zone senz’acqua e zone con acqua, prescindere dagli eventuali indici di superficie dei terreno, stabilire una proporzione tra le zone segnalate è quelle non segnalate, ecc.: tutte cose praticamente impossibili. In casi consimili la probabilità casuale si ragguaglia a un valore teorico x, che sarà tanto maggiore quanto più precisa sarà stata la determinazione. Così se un rabdomante mi dirà che a y metri di profondità sotto i suoi piedi c’è una falda acqua di spessore w e di larghezza z, e nello spazio di poche ore mi avrà dato altre due o tre prove di questo genere, io sarò autorizzato a considerare la probabilità casuale come eguale ad uno contro un numero imprecisabile, ma evidentemente enorme, e avrò quella che si suoi chiamare « certezza morale », se non una certezza matematica strictu sensu. Così almeno dovrebbe insegnare la logica del metodo scientifico, oltre a quella del comune buon senso. Del resto la validità della rabdomanzia è ormai pacifica, tanto che negli stessi ambienti governativi di vari paesi essa è regolarmente sfruttata: evidentemente il Meyerson non è informato di questo, e così dicasi del solito ineffabile Marcel Boll, che in una nota in margine ci ricorda, da brava mosca cocchiera, che anch’egli «si è altra volta sforzato di ricondurre a giuste proporzioni l’affare dei rabdomanti ». Ciò che però non dice questo curioso tipo, unicamente preoccupato di negare ogni cosa che superi i suoi paraocchi, è che nessuno, di coloro che, hanno realmente studiato questi problemi, prende sul serio le sue critiche, e sarebbe opportuno che egli si documentasse un po’ meglio, per poter parlare di cose che per ora non lo riguardano.
Il Meyerson termina con riferimenti alla volontà di credere, che basta a creare l’illusione. Gli osserveremo, terminando anche noi, che l’illusione può esser creata anche in un altro modo, cioè dalla volontà di non credere, e che i detrattori di Boucher de, Perthes non erano meno in errore, di coloro che vero e descrissero, nei loro laboratori, delle radiazioni puramente immaginarie.
EMILIO SERVADIO.

(1) K. E. Krafft, Influences solaires e lunaires sur la naissance humaine, Parigi 1928.

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