Freud e la parapsicologia
Giornale Italiano per la ricerca psichica, Anno I , gennaio-aprile 1963, fasc.1, pp.18-27
Ripubblicato in: Telepatia di ieri, di oggi, di domani
A cura di S.Guarino
Istituto Editoriale del Mezzogiorno Napoli 1972

L’interesse di Freud verso i fenomeni che sono stati volta a volta chiamati «occulti», «psichici», «paranormali» o «metapsichici», e che oggi si preferisce denominare «parapsicologici», si è manifestato abbastanza presto nella sua lunga vita. Mentre in una nota del 1889 egli aveva semplicemente – e molto nettamente – «liquidato» un preteso «sogno premonitore», mostrando che si trattava di una ricostruzione più o meno·post factum, e mentre nel 1904, nel capitolo XII della «Psicopatologia della vita quotidiana», egli aveva manifestato il suo scetticismo – prudente, è vero nei riguardi dei sogni profetici e delle esperienze telepatiche Freud adottò un atteggiamento assai diverso in un saggio molto più lungo, scritto nel 1921, ma che non fu pubblicato se non vent’anni dopo, «Psicoanalisi e telepatia» nel quale dichiarava che e non sembrava più possibile metter da parte lo studio dei fatti cosiddetti occulti. Tale mutamento non può del tutto sorprendere coloro che sanno come Freud, sin dal 1911, avesse accettato di essere «Membro corrispondente» della Society for Psychical Research di Londra, una Società la quale aveva come suo unico scopo precisamente lo studio della telepatia, della chiaroveggenza, ecc. È evidente infatti che con tale accettazione Freud aveva mostrato di ammettere la possibilità dei suddetti fenomeni – poiché nessuna persona di buon senso potrebbe favorire o partecipare a una ricerca su problemi, o su fatti, di cui negasse assolutamente e irrevocabilmente l’esistenza!

Un mutamento, comunque, c’era stato. Freud, anzi, avrebbe senz’altro presentato il predetto lavoro, «Psicoanalisi e telepatia», al Congresso psicoanalitico internazionale del 1922, se non fosse stato dissuaso da Ernest Jones – uno dei suoi più validi collaboratori – e da altri, i quali pensavano che la cosa fosse prematura e pericolosa.

Ciò apprendiamo da quanto lo stesso Jones ha riferito in un apposito capitolo della sua grande biografia di Freud, che è stata tradotta anche in italiano. Freud, allora, anziché occuparsi della pubblicazione del lavoro, lo mise da parte, e scrisse in sostituzione un altro articolo, al quale, più cautamente, diede il titolo «Sogno e telepatia» . Questo articolo uscì nel 1922. In esso Freud, per la prima volta, ammetteva pubblicamente la possibilità dei fenomeni telepatici.

Vediamo in succinto che cosa contenevano questi due lavori, cominciando in ordine cronologico da quello scritto nel 1921, «Psicoanalisi e telepatia». Esso fu pubblicato soltanto nel 1941, dopo la morte dell’autore, ma venne utilizzato per redigere il capitolo II (Conferenza 30) delle «Nuove Lezioni introduttive alla psicoanalisi». In esso, Freud mostrò per la prima volta che le conoscenze psicoanalitiche potevano chiarire certe cosiddette «predizioni», che non erano state veramente tali, ma che sembravano tuttavia contenere particolari sorprendenti, relativi a fatti presenti o passati, al di fuori di qualsiasi conoscenza normale di questo o quel «veggente». Secondo Freud, nei casi da lui citati (tre in tutto), i «veggenti» potevano aver percepito, a mezzo della trasmissione del pensiero, ciò che i loro clienti, più o meno inconsciamente, desideravano, o avevano desiderato; e potevano aver espresso la sostanza di tali desideri con qualche variante di dettaglio, spostandone la realizzazione nell’avvenire – mentre si trattava o di avvenimenti già occorsi, o di situazioni attuali che avrebbero potuto svilupparsi nel senso «predetto». Nell’ammirevole dimostrazione di Freud, la psicoanalisi illumina, per così dire, il valore parapsicologico dei fenomeni riferiti: valore che sarebbe stato sottovalutato se ci si fosse limitati a notare che l’aspetto «profetico» delle dichiarazioni dei «veggenti» era stato assolutamente nullo (poiché, come abbiamo osservato, tali dichiarazioni non riguardavano affatto l’avvenire, bensì il passato o il presente).
Dato che l’articolo « Psicoanalisi e telepatia » non fu pubblicato che nel 1941, la posizione di Freud nei riguardi dei fenomeni paranormali non si precisò e ufficialmente e, come si è detto, se non nel 1922, anno in cui egli pubblicò il suo lavoro «Sogno e telepatia». In tale lavoro, Freud sviluppò in guisa più netta e generale la sua tesi principale, che era stata soltanto abbozzata in ciò che aveva scritto un anno prima. Nei casi di «veggenza» paraprofetica esaminati nel saggio «Psicoanalisi e telepatia », il veggente, secondo Freud, poteva aver percepito per via extra sensoriale ciò che si svolgeva nella mente del consultante, e averlo sottoposto a un lavoro di deformazione, sia attribuendo a una persona ciò che era accaduto o sarebbe potuto accadere a un’altra, sia spostando il passato o il presente nell’avvenire.

Benché Freud non l’avesse indicato in modo esplicito, è evidente che tali deformazioni erano da ascriversi né più né meno che a «meccanismi di difesa» intrapsichici, mediante i quali sarebbe possibile captare certi desideri più o meno rimossi, o poco accettabili, di questa o quella persona, ed esprimerli in guisa indiretta e non urtante. La analisi aveva permesso a Freud di disfare il lavoro di camuffamento e di distorsione delle difese, e di ricondurre il contenuto del «messaggio» ai suoi dati essenziali, esattamente come se si fosse trattato di un sogno, o di un sintomo.
Nei casi riferiti, l’elaborazione e la presentazione del contenuto erano state compiute in un modo affatto speciale, nel quadro di una situazione di comunicazione extra sensoriale a due – più o meno come se il «veggente» avesse «prestato» l’apparato difensivo del suo Io al consultante, effettuando in sua vece un lavoro , lo, avrebbe potuto svolgersi in un modo esclusivamente endopsichico nel consultante stesso, dando luogo p. es. a un sogno, o a una fantasia. Ma non era forse possibile che quello stesso lavoro potesse compiersi soggettivamente in chiunque, nei riguardi di problemi o di conflitti personali attivati non già da situazioni della vita corrente, percepite per le vie abituali, bensì da stimoli registrati a mezzo della telepatia, o della percezione extra sensoriale? E non potremmo attenderci, in tal caso, delle presentazioni di contenuti manifesti che occorrerebbe sbrogliare di interpretare per poter scoprire, insieme con i rispettivi contenuti latenti, l’eventuale fattore paranormale che avrebbe potuto essere stato trascinato, esso pure, in tale lavoro di elaborazione difensiva e di deformazione?

Precisamente di questi problemi tratta l’articolo di Freud, «Sogno e telepatia». Il suo materiale, questa volta, era limitato a una sola osservazione: ma questa, e i relativi commenti di Freud, sono rimasti storici. Si trattava, come molti ricorderanno, di un tale, il quale gli aveva scritto di aver sognato che la sua seconda moglie aveva partorito dite gemelli. Il giorno seguente, quel tale aveva appreso che in quella stessa notte, la figlia della sua prima moglie aveva avuto due gemelli, mentre il parto era previsto per circa un mese dopo.

Secondo Freud, se si ammetteva che questo sogno fosse telepatico, si poteva spiegare benissimo, dal punto di vista psicoanalitico, la divergenza tra il suo contenuto manifesto e ciò che era realmente accaduto, ossia la sostituzione della moglie del sognatore alla di lui figlia. Il sognatore poteva avere rimosso il desiderio di essere egli stesso il padre, e non già il nonno, del bambino che stava per nascere. La percezione telepatica del parto avrebbe potuto mettere a repentaglio la rimozione di tale desiderio incestuoso, e la censura lo avrebbe spostato e mascherato, rappresentandolo infine come desiderio di avere una progenitura non già dalla figlia, ma dalla moglie!
Allo stesso modo, concluse Freud, la psicoanalisi avrebbe potuto render giustizia e contenuti telepatici inclusi in altri sogni, e che fossero stati sottoposti a un lavoro di censura e di deformazione analogo. Senza una interpretazione conforme alle regole psicoanalitiche, tali contenuti sarebbero potuti apparire poco dimostrativi, o passare totalmente inosservati.
Non si può non vedere in questo sprazzo di luce, gettato da Freud su un problema già annoso, ma che nessuno aveva considerato da un angolo così nuovo e così promettente, l’impronta del genio.
Diventava finalmente chiaro che molte oscurità, contraddizioni, errori e approssimazioni della conoscenza paranormale potevano spiegarsi secondo quelle leggi del funzionamento dell’apparato psichico nella personalità totale, che la psicoanalisi aveva accertate. «La distorsione della percezione – scriveva Freud è una delle caratteristiche del funzionamento mentale dominato dalle esigenze inconsce. Ma tale distorsione ha un senso, e si svolge secondo leggi dinamiche e deterministiche. Non c’è alcun motivo di supporre che le percezioni telepatiche debbano sfuggire a tale effetto universale».

Il resto del materiale esaminato nell’articolo «Sogno e telepatia» non interessa la parapsicologia. Freud dimostra ancora una volta in modo convincente, nei riguardi di quel materiale, che si trattava di pseudo-telepatia, e riporta molto correttamente i pretesi eventi telepatici alla situazione conflittuale inconscia della persona che ne sarebbe stata la protagonista. Ma in un paragrafo intermedio, egli si pone la questione dei sogni telepatici nei quali non vi sarebbe alcun mascheramento – alcuna differenza, cioè, tra l’avvenimento e la scena del sogno, quale si presenterebbe alla coscienza del sognatore.

Sarebbe lecito dare a un simile fenomeno il nome di «sogno»? – si domandava Freud. E rispondeva negativamente, poiché di fatto, non potremmo legittimamente chiamare «sogno» un fenomeno nel quale mancherebbero del tutto la condensazione, la deformazione, la drammatizzazione e, soprattutto, ciò che ha attinenza con la realizzazione dei desideri. Quei pretesi «sogni» avrebbero dunque la forma del sogno, ma non già la sostanza. Un « sogno telepatico » senza desiderio, e che non fosse stato sottoposto alle distorsioni del cosiddetto « lavoro onirico » , dovrebbe chiamarsi piuttosto un’ «esperienza telepatica nello stato di sonno» e il suo studio non avrebbe nulla a che vedere con la scienza dei sogni.

Freud distingue dunque, per così dire, due tipi di esperienze telepatiche durante il sonno. Le une come quella della «nascita dei due gemelli» sono veri sogni, che occorre interpretare; le altre sarebbero manifestazioni «pure» di conoscenza paranormale degli avvenimenti.
A questo punto è opportuno chiederci quali fatti od esperienze avessero indotto Freud, nel 1921-22, ad abbandonare il suo primitivo scetticismo per accettare la telepatia, o almeno per ammetterla come una possibilità. Sotto questo punto di vista, le informazioni che ci vengono fornite nella già menzionata biografia di Ernest Jones, anche se possiamo essere di avviso diverso dal suo nella valutazione dei fatti, risultano di primaria importanza. Esistevano infatti in Freud – così ci assicura Jones – unitamente a eccezionali capacità di critica razionale, certe curiose tendenze verso la superstizione ed il pensiero magico. Al crocevia fra tendenze acritiche e uno scetticismo mordace, vigevano per esempio, nell’animo di Freud, strane idee sull’importanza, nella sua vita, dei numeri 28 e 23; o la fantasia secondo cui egli avrebbe dovuto morire all’età di 61 o 62 anni.
Su questo scabroso terreno caddero, a un certo momento, le idee di due uomini con le cui personalità Jones poteva difficilmente accordarsi: cioè C. G. Jung e Sandor Ferenczi. Jung, allora, era ancora seguace ed amico di Freud, ed aveva un forte interesse per molti aspetti dell’ «occulto» (un interesse che poi non venne mai meno: per Jung, infatti, come per i seguaci della sua scuola, la cosiddetta conoscenza «paranormale» rappresenta uno dei molti possibili sentieri attraverso i quali si può acquisire una conoscenza). Ferenczi – uno dei più originali talenti del movimento psicoanalitico – con il suo ingegno vivace e irrequieto era stato anch’egli attratto da tali problemi, e li affrontò con grandissimo zelo, con molto entusiasmo e con scarso spirito critico. Fu Ferenczi che presentò a Freud alcuni soggetti i quali godevano fama di essere «chiaroveggenti». Freud ne rimase solo moderatamente colpito, ma accettò la trasmissione del pensiero come una possibilità. Egli fu molto più impressionato da certe presunte comunicazioni extra-sensoriali tra Ferenczi ed un suo paziente, e ciò fino al punto di affermare che questi episodi «avevano posto fine ad ogni lecito dubbio sulla realtà della telepatia».

Jung e Ferenezi, in quel tempo, avevano svolto fra loro una attiva corrispondenza epistolare, dalla quale era derivata l’idea di condurre «una crociata nel campo del misticismo». Freud, invece, per quanto fosse convinto che la causa fosse buona, fu a questo proposito ben fermo nel consigliare prudenza. Non diede importanza alle perorazioni di Jung in favore dell’astrologia, né condivise l’opinione di Ferenezi, secondo cui i famosi cavalli di Elberfeld sarebbero stati «soggetti telepatici». Comunque, il suo interesse per il tema della telepatia fu rafforzato dal libro di Wilhelm Stekel: «Sogni Telepatici», uscito nel 1920.

Dopo aver rifiutato, nel 1921, tre offerte con le quali gli veniva proposto di diventare condirettore di altrettanti periodici di ricerche psichiche, Freud ruppe il ghiaccio su quest’argomento con la famosa lettera da lui inviata al noto studioso americano Hereward Carrington, nella quale aveva dichiarato: «Se io sapessi di poter ricominciare a vivere, mi dedicherei alla ricerca psichica invece che alla psicoanalisi». Alcuni anni dopo, Freud – in perfetta buona fede smentì di aver mai scritto una tal frase; ma Nandor Fodor poté avere una copia fotografica della lettera in questione, e la frase citata certamente c’era.

Questa, dunque, è la «storia segreta» di quel processo che indusse Freud a scrivere, in un primo tempo, l’articolo «Psicoanalisi e Telepatia», e a pubblicare, in un secondo tempo, «Sogno e Telepatia». Jones, invece, fu e rimase sempre scettico circa la realtà di ogni specie di fenomeno psichico paranormale. È fin troppo evidente che, per la sua mentalità, le ammissioni di Freud circa «l’occulto» erano sullo stesso piano delle sue debolezze umane relative ai numeri «fatali», o alle oscure profezie.

La mia opinione, ovviamente, è diversa. Non solo io non riesco a rinvenire negli articoli di Freud su argomenti parapsicologici una qualsiasi sua indulgenza verso il «pensiero magico», ma mi appare anzi evidente che il grande esploratore dell’inconscio ha adottato, nel suo accostamento ai problemi parapsicologici, quello stesso atteggiamento spregiudicato che assunse fin dell’inizio, trattando della sessualità infantile o della etiologia delle nevrosi.

Non dobbiamo dimenticare che Freud non era davvero il tipo di studioso che potesse ascoltare passivamente le indicazioni di Jung o di Ferenczi. Come ho ricordato, egli era stato membro della «Society for Psychical Research» di Londra fin dal 1911, nonché membro della parallela Società Americana fin dal 1915, e pertanto non è pensabile che abbia trascurato di leggere le pubblicazioni edite da queste due Società. Infatti egli scriveva a Jones nel 1924: «La più grande impressione da me provata nelle mie letture di questo mese mi venne da una relazione su esperimenti telepatici condotti con il Prof. [Gilbert] Murray (Proceedings of the S.P.R., Deck 1924). Devo confessare che tale impressione è stata così forte, che io sono disposto ad abbandonare ogni mia opposizione all’esistenza della trasmissione del pensiero… E sarei persino pronto ad accordare il sostegno della psicoanalisi al tema della telepatia» .

Freud era dunque già pronto a dare il suo aperto contributo alla causa della ricerca psichica e a volgere il movimento psicoanalitico in suo favore, senonché ancora una volta Jones gli impedì di prendere una simile iniziativa, diramando una lettera circolare sui pericoli dell’impresa. Freud si fece così, di nuovo, assai prudente, e questo suo atteggiamento ebbe una diretta influenza sopra i progetti, sempre mutevoli, dell’irreprensibile Ferenczi.

Alcuni nuovi contrasti pur nei limiti della loro profonda amicizia – si verificarono tra Freud e Jones dopo l’apparizione del IV volume dei «Collected Papers» (1925) di Freud, che includeva il saggio «Dreams and Telepathy», e dopo la pubblicazione del III volume dei «Gesammelte Schriften», contenente una speciale sezione su «Il significato occulto del sogno» («Die Okkulte Bedeutung des Traumes»). La rivista Psyche criticò questi saggi in un articolo dal titolo pieno di significato: «La conversione di Freud». Jones mise allora in circolazione una lettera nella quale esprimeva la preoccupazione che l’atteggiamento di Freud potesse avere pericolose ripercussioni sull’intero movimento psicoanalitico. Freud replicò dicendo che ognuno doveva avere il coraggio delle proprie convinzioni, che le sue esperienze con Ferenczi e con la propria figlia Anna lo avevano convinto, e che «le considerazioni diplomatiche dell’altra parte dovevano essere accantonate».
Nel breve articolo «Il significato occulto dei sogni», apparso nel 1925, Freud riprese le considerazioni dei saggi precedenti, e aggiunse che a suo avviso vi erano probabilmente, nelle comunicazioni telepatiche, fattori emozionali inconsci delle persone implicate – fattori che l’analisi avrebbe potuto mettere in luce. Si tratterebbe di contenuti rimossi, ma che starebbero passando dal cosiddetto processo primario al cosiddetto processo secondario, ossia dall’inconscio propriamente detto al preconscio. Altri autori (Hollós ed io tra i primi) hanno più o meno confermato tali ipotesi, rilevando tuttavia che il meccanismo poteva svolgersi anche in senso inverso, ossia che poteva trattarsi di contenuti in corso di rimozione, invece che in procinto di essere sottratti a questa, e che il processo avrebbe potuto essere, per dir così, sorpreso e smascherato mediante l’intervento della telepatia. L’idea di Freud, relativa a certe premesse emozionali inconsce che i protagonisti di un’esperienza telepatica avrebbero in comune, ha avuto particolarmente in tempi recenti un grande sviluppo.
Si tratta di ciò che io ho chiamato il «condizionamento trasferenziale e contro-trasferenziale», di tali fenomeni, nell’analisi, ed anche fuori della situazione analitica, e che ho illustrato in numerosi lavori in questi ultimi anni.

Veniamo infine all’ultimo scritto di Freud sulle manifestazioni parapsicologiche, ossia al capitolo II (Conferenza 30°) delle sue «Nuove lezioni introduttive alla psicoanalisi», apparse nel 1932. Come abbiamo notato, Freud utilizzò parzialmente, per questo lavoro, ciò che aveva già scritto, senza tuttavia pubblicarlo, nel 1921, ed anche certe osservazioni contenute negli altri saggi che abbiamo citato. Vi aggiunse tuttavia un «caso» notevole e diventato celebre; il «caso del Dott. Forsyth». Il suo cliente P. aveva apparentemente percepito a mezzo della telepatia che Freud aveva distolto parzialmente il proprio interesse da lui, e che si occupava molto di un nuovo cliente giunto dall’Inghilterra. I particolari molto precisi che Freud fornisce a questo riguardo lo determinarono in favore dell’interpretazione telepatica dell’avvenimento e, ciò che più importa, gli permisero di
andare assai lontano nello studio dei fattori emozionali, consci ed inconsci, che tanto nel suo cliente come in lui avevano potuto promuovere la comunicazione telepatica. In un mio lavoro, io ho riesaminato il «caso del Dott. Forsyth», e ho cercato di mostrare che si poteva andare ancora più lontano in quella analisi, e specialmente che la posizione contro-trasferenziale di Freud nei riguardi del suo cliente era molto più significativa e importante di quanto Freud stesso avesse creduto. Il «caso del Dott. Forsyth » resta comunque uno dei primi che abbiano offerto agli studiosi una base sicura per la valutazione del « condizionamento » di un fenomeno telepatico, e per la comprensione del suo «senso » in una data situazione interpersonale. Esso è stato particolarmente prezioso per gli psicoanalisti, ai quali ha offerto il modello di ciò che può avvenire durante un trattamento. Da allora, nessun analista potrebbe non tener conto di tali eventualità, o rinunziare a studiarne le premesse e la strutturazione profonda. Quell’esempio e quelle indicazioni sono stati d’altronde seguiti da parecchi psicoanalisti dopo la comparsa delle «Nuove Lezioni», e il numero dei loro contributi è in continuo aumento.

Jones è stato particolarmente critico nei riguardi dell’ultimo lavoro «parapsicologico» di Freud. A suo avviso, «molti potrebbero considerare questo caso come il meno probante fra quelli riferiti, in quanto vi si possono rinvenire molte spiegazioni alternative a quella telepatia». Egli asserisce, nelle sue considerazioni conclusive, dal materiale riportato sarebbe tanto facile scegliere brani documentanti lo scetticismo critico di Freud, quanto riferirne altri dimostranti esattamente il contrario. Questa circostanza sta ad indicare, secondo la sua opinione, l’esistenza di due atteggiamenti fondamentali nella personalità di Freud, e cioè la coesistenza di una volontà di credere, e di una inclinazione a non credere. «Freud aveva ragione» afferma Jones nell’ultimo paragrafo suo capitolo dedicato agli interessi di Freud per la parapsicologia «quando predisse che vi sarebbero stati analisti i quali avrebbero creduto nella telepatia; è stato persino detto che si sarebbe potuto fare uso di tale processo nel corso del trattamento psicoanalitico».

Il tono di questo passo mostra molto chiaramente l’atteggiamento biasimo mantenuto da Jones verso ciò che dev’essergli sembrato lo sviamento di alcuni analisti, i quali avrebbero seguito senza critica un esempio piuttosto sfortunato offerto loro da Freud. A me sembra la valutazione, fatta da Jones, degli sviluppi post-freudiani nell’avvicinamento della psicoanalisi ai fenomeni psichici paranormali, sia priva della necessaria serenità, e, in complesso, ingiustificata, come vedremo.

Nelle ultime righe del suo lavoro finale, Freud ha sottolineato, radamente, il carattere arcaico e regressivo dei fenomeni telepatici, anticipando ancora una volta ciò che le ricerche più moderne – psicoanalitiche, parapsicologiche, antropologiche – tendono sempre a confermare. La telepatia – egli scrive – «potrebbe essere il modo arcaico originale mediante il quale gli individui si comprendevano, e che sarebbe stato, nel corso dello sviluppo filogenetico, soppiantato dal metodo migliore delle comunicazioni con l’aiuto dei segni, percepiti dagli organi di senso. Ma il metodo potrebbe rimanere conservato nel fondo, e farsi ancora valere in date condizioni…
Le ricerche moderne si sono in verità indirizzate verso un più preciso e particolareggiato studio di tali «condizioni», come è ampiamente dimostrato dalla antologia di scritti psicoanalitici sulla parapsicologia, apparsa nel 1953 a cura di George Devereux. Dopo il saggio di Freud venne quello di I. Hollòs: «Psychopathologie Alltàglicher telepatischen Emsheinungen» («Psicopatologia delle manifestazioni telepatiche quotidiane» , in Imago, 1933) e quello mio:·Psychoanalyse und Telepathie(«Psicoanalisi e Telepatia», in Imago, 1935), nel quale fu per la prima volta posto in evidenza che le comunicazioni telepatiche fra l’analista e il paziente potevano essere riferite a problemi emozionali preconsci o inconsci che erano diventati «reciproci». Fodor pubblicò poi il suo saggio «Telepathic Dreams» («I sogni telepatici », in American Imago, 1942), affermando che «la chiave per una completa comprensione del sogno si trova talvolta in un evento del quale possiamo venire a conoscenza attraverso le sole associazioni del paziente», ed aggiungendo che «noi possiamo rinvenire, in alcuni casi, l’elemento indicatore mancante se analizziamo i nostri propri sogni in rapporto a quelli dei nostri pazienti».

L’estensione di quest’idea dal campo dell’attività del sogno al complesso della vita mentale preconscia o inconscia dell’analista – estensione che io avevo previsto fin dal 1935 – fu magnificamente sviluppata ed elaborata da Jule Eisenbud in numerosi articoli che egli cominciò a pubblicare immediatamente dopo la guerra, e comprendenti «Telepathy and Problems of Psychoanalysis» ( «La telepatia e problemi di psicoanalisi», in Psychoanalytic Quarterly, 1946), «The Dreams of Two Patients » («I sogni di due pazienti», in Psychoanalytic Quarterly, 1947), e altri.
Le mie indagini personali, nello stesso tempo, venivano vieppiù incrementate, e i contributi della psichiatria e della «psicologia del profondo alla parapsicologia venivano arricchiti dai saggi e dai libri di Jan Ehrenwald, specialmente dai suoi due libri: «Telepathy and Medical Psychology» (New York, 1948) e «New Dimensions of Deep Analysis» (New York, 1954). Ehrenwald, particolarmente, considerò le condizioni mentali, od anche fisiche, dei soggetti delle esperienze telepatiche, nonché le distorsioni e gli errori nelle comunicazioni. Contributi addizionali furono offerti da noti psicoanalisti quali Geraldine Pederson-Krag, Montague Ullman, Sydney Rubiu o W. H. Gillespie, che fu per quattro anni Presidente dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale.
Io ho continuato a riferire esempi particolareggiati di fenomeni psichici occorsi nella situazione analitica, nonchè a offrire prove della «complementarità» delle condizioni psicologiche alle quali essi sembravano costantemente collegati. L’utilità e il valore euristico dell’accostamento psicoanalitico alla parapsicologia furono messi alla prova anche in altri campi oltre che in quello della fenomenologia telepatica, come p. es. nella rabdomanzia, nei fenomeni di poltergeist, nella medianità e nella precognizione.

Nel 1956, alla Conferenza di Royaumont, promossa dalla Parapsychology Foundation, i contributi più significativi furono dati dalle relazioni di psicoanalisi e di psicologia del profondo presentate da Ehrenwald, Eisenbud, C.A.Meier (il noto psichiatra junghiano) e da me. Il tema della Conferenza, che si estese dal 30 aprile al 4 maggio 1956, fu «Psicologia e Parapsicologia».

In una comunicazione presentata al XIX Congresso internazionale di Psicoanalisi (tenutosi a Ginevra nel 1955) e pubblicata poi nell’Internationai Journal of Psychoanalysis, io ho cercato di riassumere i principali risultati delle investigazioni condotte lungo il corso di venti anni e concernenti il «condizionamento» della interazione telepatica durante il trattamento psicoanalitico: un condizionamento apparentemente dovuto alle fasi particolari ed alle tensioni emotive della cosiddetta «situazione trasferenziale e controtrasferenziale».

Considerando questa situazione come l’apice tipico di una serie totale di avvenimenti quotidiani, ma non intrinsecamente differente da questi, ho tentato di descrivere le premesse psicologiche generali comuni a qualsiasi comunicazione telepatica. Questo rappresenta, fino ad oggi, l’ultimo balzo in avanti di una ricerca che non avrebbe mai avuto vita, se Freud non le avesse dato inizio. Ha notato assai bene J. Eisenbud che le linee di sviluppo della parapsicologia moderna sono da un lato nel senso delle ricerche statistico-matematiche sulla percezione extra sensoriale e su altri fenomeni – come indicato soprattutto da J. B. Rhine; ma dall’altro lato, sono quelle delle ricerche delle motivazioni dinamiche e dei condizionamenti inconsci delle manifestazioni stesse. In questo secondo senso – che è forse il più importante per una rivalutazione della struttura e del funzionamento dell’apparato psichico umano nel quadro dei rapporti interpersonali – la via è stata additata e aperta da Freud. A questo riguardo, come per tanti altri arricchimenti delle nostre conoscenze attuali o possibili, il nostro debito verso Freud supera i nostri mezzi di misura

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