Alla scoperta della patria dl Uilsse con un turismo dei tempi di Omero
Uno psicoanalista italiano in vacanza a Leucade
Il Tempo 19/08/1962

Leucade, agosto

« …e gli dei dell’antico Olimpo vi saranno propizi ».
Così, o press’a poco, terminava la lettera di quattro pagine con cui il sig. Z. da Atene, ci incoraggiava a passare le nostre vacanze in un’isola greca dello Ionio: Leucade « la bianca », che secondo alcuni sarebbe stata, vera patria del mitico Ulisse. A Leucade – indicava ancora il nostro amabile corrispondente – si preparava un Festival folkloristico italo-greco, a cui erano stati invitati giornalisti italiani. francesi e svizzeri. Ancora rustica, ma pulita e provvista di piccoli alberghi e di case ospitali, Leucade meritava di essere visitata, e meglio conosciuta. Poteva essere il soggiorno ideale per chi amava il mare, la quiete, la vita libera.
Arrivare a Leucade, sulla carta, è semplicissimo. Si prende l’aereo, o il treno, sino a Brindisi. La sera, ci si imbarca su una nave della « Società Adriatica », che la mattina dopo approda prima a Corfù e poi a Igomenitza. Da Igomenitza si prende un pullman che in due ore e mezza arriva a Prèvesa: e da qui un motoscafo o un automezzo (con brevi traghetti ) vi porta a destinazione. Ci potrebbe andare un bambino.
Dal centro di Brindisi, un taxi ci conduce al molo. Forti del nostro biglietto e del nostro passaporto entrambi perfettamente in regola – credevamo d’imbarcarsi subito.
Ingenuità e illusione! In primo luogo « coda » di fronte all’unico banco della Società « Adriatica », dietro il quale – l’unico impiegato tiene testa a una folla accaldata e innervosita. Verifica dei passaporti: verifica dei biglietti, trascrizione dattilografica dei dati su appositi fogli : riempimento in piedi, delle dichiarazioni per la polizia (con i passaporti già consegnati, del quali beninteso nessuno ricorda i numeri); altra « coda » allo sportello della polizia: timbri italiani sui passaporti. All’ingresso della nave, terza « coda » lungo un tavolo per la timbratura greca. Prima d’indicarci la cabina, anche il cameriere ci chiede di vedere i passaporti. Mentre gli stiamo offrendo di mostrarli eventualmente al cuoco di bordo, sentiamo pochi metri accanto le vibrate e altisonanti espressioni di un nostro illustre diplomatico, ancor più esasperato di noi i per questo strano modo d’incoraggiare il turismo, e di facilitare gli scambi internazionali…
La nave – bellissima, e largamente provvista di aria condizionata (ce n’era bisogno) – parte con due ore di ritardo. Spiegazione: aveva dovuto attendere un folto gruppo di turisti, appartenenti a un noto club internazionale, che da qualche anno turba ed infesta i più bei luoghi del Mediterraneo. Pazienza: ma il ritardo non viene colmato. Arriviamo a Igomenitza sotto un sole atroce, e naturalmente la corriera per Prèvesa non c’e (siamo stati poi informati che non c ‘e quasi mai, del tutto indipendentemente dagli orari delle navi, e che in questa regione vige l’allegro principio – o complesso – della « non-coincidenza ». Una serie di mezzi di fortuna, una torrida traversata dell’arido Epiro… e l’ultimo taxi, alle nove di sera, deposita a Leucade i pallidi residui di uno psicoanalista italiano.
Leucade, in quest’anno e in questa stagione, ci appare piuttosto bella, polverosa, orientale, caldissima, piena di rumore, e perfettamente disorganizzata. La sua configurazione rassomiglia vagamente a quella dell’Argentario,con le lagune tipo Orbetello, qualche verde montuosità, e diverse isole e isolette vicine. Il centro principale, è un piccolo e affollato caos. Che si sia potuto pensare di celebrare un Festival internazionale a Leucade sarebbe del tutto incomprensibile se non ci rendessimo rapidamente conto delle buone intenzioni, della gentilezza , e – s’intende – dell’assoluta buona fede dei promotori, la cui mentalità ricorda per certii versi quella dei meridionali conterranei di Tartarin de Tarascon, nel celeberrimo romanzo di Alfonso Daudet.
Qui la « camera confortevole » è un locale con una branda e senza mobili la « doccia a disposizione » e un tubo di gomma al pianterreno, di cui debbono servirsi cinque o sei coinquilini (e il termometro raggiunge punte di 38° e oltre); le « ampie possibilità balneari » sono spiagge ( assai belle in verità) a un chilometro dall’abitato e prive di cabine. Solo l’estrema affabilità degli abitanti, e il loro pronunciatissimo senso d’ospitalità – uniti s’intende agli sforzi e alle acrobazie di chi ha organizzato il Festival – fanno sì che gli stranieri sopraggiunti acconsentano a non ripartire immediatamente, e ad « aggiustarsi » alternando lamentele e sogghigni, esclamazioni sconfortate e grida di gioia. Si odono strane notizie: « A me hanno dato un sommier in un grande salone » ; « la pompa della mia casa si rompe quando la tocco »; « a due metri dalla mia finestra c’é una sega circolare » « io faccio la doccia bocconi, sotto il rubinetto dello acquaio »…
Ospiti che si aspettavano un alloggio fissato da mesi si spostano con valigie e abiti all’aria dalla dimora del dottore a quella del sarto, esitano fra la cucina con balcone e il salotto con divano trasformabile.
Il buonumore, comunque tende a prevalere. Chi va al bagno, chi scrive i primi articoli, chi scatta fotografie. E per tutti ha una parole gentile, e tentativi qualche volta efficaci d’aiuto, la moglie di Z., colui che in quattro pagine « pindariche » ci ha incoraggiati, stando ad Atene, e passare e vacanze in questa Leucade. E’ una giovane signora assai graziosa, vivace e piena di zelo, che sembra impersonare tutto un cumulo di « buone intenzioni » – destinate per ora, purtroppo, a rimanere, quasi completamente tali. Sarà per l’anno prossimo – c’informa la signora Z. – allora troveremo a Leucade un albergo grande e « moderno ».
E il Festival? Quello a cui dovremmo assistere deve ancora cominciare: ma il vero festival, nel senso alquanto carnevalesco del termine, é proprio quello che, tra strepiti, starnazzamenti e rassegnazioni fatalistiche, stiamo da alcuni giorni intensamente vivendo. Del resto, un’avventura simpatica che ognuno di noi vive con scanzonata allegria.
Emilio Servadio

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