Passò tutta la vita, ad esplorare coloro che si danneggiano da sé

Scrisse che la inumanità dell’individuo verso il proprio simile è uguale soltanto alla inumanità dell’individuo verso se stesso, e con questo svelò un grande segreto che durava da secoli

E’ morto Bergler, il più grande teorico del masochismo
Il Tempo 26/02/1962

Stroncato da un infarto a sessantadue anni, è morto pochi giorni fa a New York Edmund Bergler, una fra le menti più brillanti ed originali della psicoanalisi contemporanea, il teorico della «nevrosi di base» e del masochismo, il clinico dall’occhio sicuro, l’autore prolifico di una ventina di volumi e di oltre duecento saggi scientifici.
La tesi principale sostenuta a Bergler è che non vi siano «tanti» tipi di psiconevrosi o di disturbi della personalità; ma che le varie forme che questi e quelle possono assumere non siano se non diversi modi di fronteggiare una situazione centrale e profonda di conflitto, cui forse nessuno può completamente sfuggire, e che è localizzabile, cronologicamente, nel primo anno di vita.

« Linfa vitale »

Qual è questa situazione? Bergler prese le mosse, per individuarla, dallo strano, paradossale, quasi antivitale attaccamento di tanti nevrotici alla loro stessa sofferenza – riallacciandosi, in ciò certe osservazioni dello stesso Freud, che aveva chiaramente individuato i sentimenti inconsci di colpa, e il correlativo bisogno di punizione, ravvisabili in molte nevrosi. Ma a Bergler venne ben presto il sospetto che in totale opposizone con quanto coscientemente l’individuo voleva, egli traesse da ogni possibile situazione sgradevole – comprese le sofferenze nevrotiche – « un vero e proprio piacere »: cercando beninteso in tutti i modi, attraverso svariati meccanismi inconsci, di smentire tale sua posizione di acquiescenza e di passività, e sviluppando, in tale opera di smentita, intere sindromi caratteriali e nevrotiche di «protezione» e di difesa.
Questo il « masochismo psichico » (così chiamato per distinguerlo dal vero masochismo, quello in cui l’individuo coscientemente e apertamente si compiace nell’essere malmenato e vilipeso), che secondo l’immagine colorita di Bergler costituisce la «linfa vitale» delle nevrosi. Esso s’instaura già in tenera età, quando il bambino anche di poche settimane, si trova preso tra le sue fantasie d’onnipotenza, la forza dei suoi istinti, e la sua dipendenza effettiva e pressoché totale dalla madre o da chi lo alleva. Nelle situazioni- inevitabili – in cui si considera ostacolato o frustrato, il bambino sente pur sempre l’« oggetto » (la madre) come sorgente indispensabile di vita, di calore e dì sicurezza, e si trova pertanto a dipendere da chi, nella sua fantasia, lo «tormenta» e lo « danneggia ». Alla lunga, il conflitto tra aggressività e dipendenza viene non solo accettato, ma in qualche modo ricercato ed amato, perché solo così il bambino spera di poter far prevalere il piacere sul dolore ed evitare l’impossibile alternativa della perdita dell’oggetto. Poco a poco, la situazione, da esterna, diventa interiore, ed entra a far parte di un mondo psichico inconscio che la realtà esterna può poi, solo limitatamente influenzare.
La « soluzione » masochistica di questi elementari conflitti, prospettata da Bergler potrebbe paragonarsi a quello di un individuo il quale si trovasse a dover scegliere tra l’ingestione di un cibo ritenuto pericoloso, e il morire di fame. E’ verosimile che nel tentativo di risolvere in questo modo questa dolorosa alternativa, il protagonista avrebbe da un certo punto in poi, non solo di non rinunciare al cibo, ma di desiderarlo con tutto ciò che esso può implicare di sgradevole o di allarmante: anzi, di persuadersi che quello, e soltanto quello, è il cibo salutare e da ricercarsi!
Una delle scoperte più sensazionali di Bergler è stata quella relativa all’« aggressività » di certi nevrotici, e di molte persone anche non troppo lontane dalla normalità psichica. E’ esperienza comune di psicoterapeuti e psicoanalisti trovare in questo o quel soggetto una dose più o meno grande aggressività « sotto pelle », che a un primo esame traspare. All’analisi queste persone non hanno in genere troppa difficoltà ad ammettere di e avercela a con qualcuno, di essere aggressivamente ambiziosi, orgogliosi, esigenti. Orbene, secondo Bergler questa non è che una « seconda linea di difesa », volta a impedire al soggetto, e a chi lo esamina, di prender nozione delle fantasie e del desideri masochistici più profondi. Molti individui, in sostanza, sono paragonabili al giocatore d’azzardo il quale é disposto ad ammettere di avere uno smodato desiderio di arricchire, dì tesaurizzare, d’imporre la propria aggressiva volontà al banco e al Destino – mentre il suo desiderio più vero ed inconscio é in genere quello di perdere e di avvilirsi.
Simili vedute, articolate in pagine teoriche smaglianti e memorabili, e di cui molti psicoanalisti hanno già cominciato a tener conto con successo nel loro lavoro quotidiano, hanno permesso a Bergler di passare al setaccio, e di interpretare ex novo un numero notevolissimo di situazioni e di problemi psicologici, sia nel campo più strettamente clinico delle nevrosi, dei disturbi della personalità e di talune deviazioni o difficoltà della vita psicosessuale, sia in quello più vasto di una problematica estranea alla clinica, ma tuttavia importantissima per il progresso ed il benessere individuali e sociali. Bergler si è occupato ad esempio, in libri ed articoli, delle relazioni coniugali, prendendo una posizione anti-divorzista e mostrando che le cosiddette – « incompatibilità » dei coniugi sono quasi sempre dovute a esigenze inconscie di fallimento e di frustrazione, non affrontabili « per linee esterne ».

Fragili barriere

Sì è occupato di vari aspetti psicologici ed emozionali dei problemi economici, e dell’irrazionale comportamento di tanti individui nei riguardi del denaro. Alcuni anni fa dettò, in collaborazione con un noto ginecologo statunitense, il Kroger, un’opera di critica minuziosa e serrata al famoso Secondo Rapporto Kinsey. Sono descritti nelle molte pagine dei suoi libri i più svariati i « tipi » nevrotici e caratteriali: dal « collezionista di ingiustizie » all’ « annoiato » dal « pessimista » allo « scocciatore », dallo «specialista in docce fredde » al « distaccato » o all’« accusator di se stesso »…; e ogni volta Berlgler riesce a mostrare, con buoni e specifici argomenti, come il singolo atteggiamento o la particolare struttura morale di Tizio o di Calo siano sviluppi, reazioni, difese e contro-difese rispetto all’oscuro, masochistico « desiderio soffrire ».
Mentre in sede clinica psicoterapica le innovazioni teoriche e tecniche di Bergler consentivano a lui stesso e a vari altri analisti, di affrontare problemi psicologici e psicoterapici con possibilità di successo assai maggiori rispetto, poniamo, a trent’anni fa (per esempio, nel trattamento psicoanalitico di certe gravi nevrosi di carattere, o dell’omosessualità ), le sue vedute generali sulla psicologia umana e sui disturbi psichici si erano fatte, nei suoi ultimi libri, al tempo stesso più lucide e più pessimistiche. Bergler era ormai convinto la « linfa vitale delle nevrosi »- il masochismo psichico di fondo – circolasse in dosi maggiori o minori in ogni essere umano. Il suo penultimo libro s’intitola Principi di auto-danneggiamento. L’ultimo ricchissimo di spunti nuovi ed originali, è intitolato Nevrotici curabili e nevrotici incurabili (nei secondi, il masochismo, secondo la sua espressione, presenta caratteristiche di « malignità » che lo rendono inestirpabile ). Non sappiamo, se, prima di morire, questo grande analista abbia fatto testamento. Ma ci sembra che, spiritualmente, il suo testamento possa riassumi nell’aforisma da lui enunciato nei Principi di auto-danneggiamento, e sul quale vale pena di attirare la riflessione di educatori, sociologi e autorità religiose. « L’inumanità dell’uomo verso l’uomo è eguagliata soltanto dall’inumanità dell’uomo verso se stesso ». Il mancato riconoscimento di questa verità è semplicemente dovuto, secondo Bergler, « mortificazione narcisista » che l’uomo prova quando scopre la fragilità di certe sue barriere difensive di pseudo- affermazione e constata, una volta ancora, di non essere veramente « padrone » nella propria casa, ossia nell’organizzazione profonda della stessa vita interiore.
Emilio Servadio

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