Psicoanalisi della creazione poetica (Prima parte)
Meridiano di Roma 07-02-1937
Avvertenza. – Questo lavoro è il primo tentativo organico volto a render ragione, con i criteri rigidamente psicoanalitici, di alcuni dei processi psichici profondi inerenti alla creazione poetica. Esso non ha carattere propedeutico, e presuppone In coloro a cui si rivolge una certa familiarità con i punti di vista e il linguaggio della psicoanalisi. E’ lecito, naturalmente, dissentire anche in tutto da ricerche del genere. Queste, peraltro, come più volto è detto nel lavoro, nulla hanno di comune con le indagini e gli apprezzamenti letterari ed estetici; dai quali, quindi, non si potrà trarre alcun argomento pro o contro di esse. Il testo che segue è tratto da un lavoro alquanto più ampio, che per ragioni dl spazio non sarebbe possibile pubblicare integralmente. (N. d. B.), (Ecco la 1° parte).
In quanto scienza, la psicoanalisi non può e non vuole entrare in merito a questioni di estetica, e men che meno difendere o adottare questa o quella filosofia dell’arte. Poiché però nelle creazioni artistiche si esprime pur sempre l’animo umano, essa può cercare i moventi generici o specifici di quelle creazioni, qualora essi siano analiticamente descrivibili, e può tentar di vedere più chiaro nel processo creativo in quanto tale. Che poi la essenza dell’arte non sia accessibile da un punto di vista psicoanalitico è cosa risaputa, e dichiarata verbatim dallo stesso Freud (1). Saggi di che cosa si possa dire sull’arte dal punto di vista della psicoanalisi se ne sono avuti ormai parecchi, a cominciare da varie formulazioni dl Freud contenute in questo o quel lavoro (2), sino alle opere di Rank, di Abraham, di Laforgue, di Marie Bonaparte, ecc. (3). In sostanza, si può ritenere come pacificamente ammesso che la psicoanalisi sia riuscita o riesca a definire talune caratteristiche della produzione artistica o della psicologia dell’artista, senza poter neppure lontanamente arrischiarsi a dare, in base ai propri criteri, un qualsiasi giudizio di valore sull’opera d’arte.
Anche nell’attività poetica ritroviamo, naturalmente, tutte le peculiarità della creazione artistica, quali la psicoanalisi già da tempo ha additato: in riassunto, potremmo dire che il poeta, ai pari dell’artista in genere, ha facoltà di sublimazione assai elevate; ch’egli ha in genere tratti spiccati di narcisismo e di esibizionismo; che i rapporti fra Io e Super-Io sono in lui particolarmente delicati e complessi, come ha posto bene in luce il Sachs (4); che la creazione è per lui, come l’artista in genere, una felice, talora felicissima soluzione d conflitti che altrimenti avrebbero porta- alla nevrosi o al-la perversione (non è detto con ciò che questo o quel poeta non possa essere un pervertito o un nevrotico) (5); e, infine, che il contatto e la comunicazione tra il poeta e il pubblico tendono generalmente a rinforzare il consenso del suo Super-Io e a dir quindi nuovo incentivo alla creazione poetica. Vorremmo, ciò premesso, rinunziare senz’altro ad esporre quanto la psicoanalisi può dire in merito alla creazione artistica genericamente considerati; e vorremmo invece soffermarci in particolar modo sul contributo ch’essa può portare ad una miglior conoscenza della creazione poetica, e quindi della stessa natura psicologica del e fatto “poesia”.
La psicoanalisi non può, naturalmente partecipare alle discussioni estetiche più meno recenti su che cosa sia o non poesia. Essa è costretta a seguire criteri tradizionali ed empirici, a muoversi sul terreno cioè,dell’uomo medi e non del letterato o del critico. Pur sapendo quanto i confini in materia siano labili e discutibili, lo scienziato e il psicoanalista dovranno riconoscere come sostanziale alla poesia un certo dinamismo interno, tralucentesi per lo più in ritmi e rime, o anche solo in cadenze, assonanze e lievitar di vocaboli, che è tradizionalmente proprio allo stesso concetto esaminato. Ciò premesso, l’indagine psicoanalitica potrà seguire due vie, che del resto uno perfettamente compatibili e parallele: da un lato accostarsi al testato connettivo della poesia, cercando dl vedere se il momento stesso della creazione poetica sia studiabile e possa ricondursi a meccanismi psichici più o meno noti; dall’altro cercar di cogliere particolari aspetti estrinseci (come l’anzidetta tendenza al ritmo e alla rima), e comprenderne meglio l’origine. In entrambe queste vie qualche risultato si è già ottenuto o il può ottenere, come ora cercheremo di dimostrare. L’elaborazione artistica, e quella poetica in particolare, si possono raccostare ad altri processi psichici in cui si palesino i meccanismi primari del sistema inconscio: p. es., al sogno. Un raccostamento preciso tra poesia e sogno è stato compiuto sin dal 1912 dal Prescott (6). Questi osserva anzitutto, che la poesia ha di solito in comune col sogno il fatto d presentare un “contenuto manifesto” dietro al quale si celano eventi o passioni particolari del poeta, significati approfondibili solo attraverso un accurato esame – ossia in sostanza un vero “contenuto latente” (un esempio tipico è quello dl certe liriche del Poe, per le quali si possono utilmente confrontare le acute interpretazioni di Marie Bonaparte). E’ certo inoltre che la molla generica della creazione poetica è il tentativo di realizzare un desiderio, secondo la formula espressa dal Freud nei riguardi del sogno. Tali criteri possono adattarsi alla poesia in un senso rigorosamente analitico, poichè sovente il poeta non si rende sfatto conto di come nella sua poesia appaia, trasformato secondo le leggi proprie all’elaborazione onirica, un contenuto rimosso. Sembra dunque al riguardo assai precisa, sebbene formulata indipendentemente da qualsiasi anticipazione analitica. la definizione del Keble (7), secondo il quale la poesia sarebbe “l’espressione indiretta in parole, e più propriamente in parole metriche, dl qualche soverchiante emozione, di un gusto o di un sentimento dominante, il cui diretto appagamento è in qualche modo represso . La poesia, in altri termini, esprime ciò che non potrebbe esprimersi per altra via, risulta di un contratto e da una lotta. Essa ha dunque una funzione liberatrice e catartica, è a una valvola dl sicurezza a (anche questa espressione è del Keble), e protegge quindi l’lndiviuo, analogamente a quanto compie il sogno. Altri parallelismi tra la poesia ed il sogno vengono tracciati dal Preaco.t nella seconda parte del suo lavoro: così l’elaborazione poetica, con la sue condensazioni, i suoi spostamenti, il suo carattere insomma regressivo, dl fronte all’espressione svolta e razionale del pensiero cosciente: si può certo parlare, in questo senso, di un “lavoro poetico”, da raccostarsi al “lavoro onirico” primamente studiato ed approfondito dal Freud. Così pure il valore che possono assumere nella poesia “resti diurni” valore del tutto sproporsionato a quello che coscientemente ii poeta potrebbe riconoscervi, e che si sviluppa secondo il ben noto meccanismo elaborativo di tali resti, proprio alla creazione onirica. E si potrebbe ancora aggiungervi la situazione dl conflitto fra l’individuo e l’ambiente, la “ribellione alla realtà”, che è propria tanto del sogno quanto di una certa poesia, ecc. ecc. Ma, come abbiamo sin dall’inizio avvertito, queste osactvazioni del Prescott valgono più che altro a lntrodurci nella considerazione psicologica e psicoanalitica della creazione poetica; giacchi esso, più o meno, potrebbero valere anche per alter espressioni d’arte. Occorrerà quindi stringere ora più di vicino, sempre su un piano empirico, il “fenomeno” poesia, e delinearne alcuni tratti essenziali.
Le principali caratteristiche estrinieche di un prodotto poetico sono: a) il ritmo; b) Is rima o l’asionanza; c) l’uso di parole o suoni del linguaggio verbale. La prima di queste prerogative è comune anche alla musica; la seconda costituisce già un o “quid” sui generis; la tersa è, ovviamente, condizione necessaria della poesia. A un concetto tradizionale di poesia risponde, empiricamente, una fusione maggiore o minore dl questi tre elementi; Qualora il primo e il secondo manchino del tutto sorge -notoriamente – il problema se ci troviamo ancora, oppur no, di fronte a un prodotto poetico. In questa sede, e ai finì delle nostre indagini, dovremo seguire la maggior corrente, dl coloro cioè che dànno al quesito una risposta negativa. Il Prescott trova modo dl esporre, oltre alla già citata serie di notazioni su quello che si potrebbe chiamare il momento elaborativo e generico della creazione poetica (momento più o meno comune alle alter forme d’arte), qualche idea intorno si tre punti che abbiamo più sopra fissati. Acutamente egli rilevi, come abbiamo visto, che la poesia risulta da un “conflltto”, I cui termini sono solo parzialmente coscienti. Preclsando ulteriormente, egli indica come l’espressione poetica rappresenti una soluzione di compromesso tra due ordini dl tendenze. Da un lato si ha un impulso emozionale, che – egli scrive tende ad esprimersi “ìn onde, con battito o una pulsazione, in moti ricorrenti che appaiono nella voce e nel gesto e che costituiscono un ritmo naturale”; e la espressione riunita della poesia soddisfa di per sè questo bisogno istintivo. Dall’altro occorre un freno al caotico prorompere dell’emozione, ed anche questa esigenza viene soddisfatta mediante l’impiego del verso, del ritmo, delle strofe, ecc., chi in tale funzione ottemperano dunque alla seconda istanza, quella del controllo, quella che trattiene e coordina I moti spontanei dell’animo, e che appare come una serie di limitazioni. Questa doppia funzione della poesia fa pensare naturalmente, oltre al noto meccanismo onirico, anche a quello dei sintomi nevrotici, che, come la psicoanalisi ci ha appreso, costituiscono appunto un compromesso tra e esigenze istintuali (libidiche o aggressive) inconscie (o rimosse nell’inconscio) che cercano soddisfazione, e le esigenze del Super-Io. Il Prescott non va più oltre in merito al processo che abbiamo cercato or ora dl precisare.. Ma è evidente che da queste ultime osservazioni occorre procere nell’indagine. Se, infatti, appare abbastanza chiara la “funzione di controllo” devoluta, nel caso della poesia, al metro, al ritmo, ecc., non appse per nulla chiara quella di “soddisfazione delle esigenze emozionali”, che il Prescott parimenti le attribuisce. Dovremo dunque a questo punto, rivolgerci decisamente allo studio dell’elemento istintuale nella creazione poetica. Dalle ultime osservazioni del Prescott appare infatti indispensabile l’esame dei fattori ritmo e rima, considerati sia in quanto tali, cioè in una linea che potrà essere più o meno applicabile anche alla musica, sia in relazione con la espressione verbale, che.anch’essa dovrà logicamente assolvere, secondo il giustissimo schema del Prescott, alla doppia funzlone di “sfogo” e di “protezione”.
Cominciamo con l’elemento “ritmo” che è comune tanto alla poesia quanto alla musica, e poniamoci senz’altro il problema dell’origine del piacere inerente al ripetersi, a intervalli regolari, di un medesimo atto, e più particolarmente dl un medesimo accento, battito o suono. Tale origine si confonde, in ultima analisi, con l’essenza stessa dei più importanti fenomeni naturali e biologici. Nella stessa natura fisica, infatti, troviamo alcuni ritmi cosmici e primordiali, come quello dell’avvicendarsi delle stagioni, del sorgere e tramontare del sole, del crescere e decrescere delle maree, e via discorrendo. Nella natura animale ed umana troviamo altresì dei tipici ritmi vitali, come quelli del cuore o del libero respiro. Riportandoci alle primissime fasi di sviluppo psicobiologico forse ravviani-e (la osservazione è di E. Weiss) la prima esperienza del ritmo già nello stato prenatale, nella percezione che Il foto, ancòra sul grembo materno, ha dei battiti del cuore della madre e del periodico fluire e rifluire della sua circolazione sanguigna. Già questa esperienza è connessa con uno stato piacevole, ed è logico metterla in rapporto con la tendenza successiva a ripristinare lo stato anteriore alla nascita, tendenza che è in sostanza un aspetto della più generale “coazione a ripetere”. Lo stesso Weiss ha notato come il fatto che i neonati si addormentino facilmente allorchè odono dei lievi battiti o suoni ritmici vada forse interpretato nel senso che mediante tali ritmi venga ravvivata nello infante l’esperienza dello stato piacevole prenatale. E’ questa, verosimilmente, la funzione che in parte ademplono, in guisa del tutto inconsapevole per le persone che le adoprano, le varie ninne.nanne con cui vengono addormentati i bambini, l’azione stessa del cullare, ecc. Ma un altro atto importantissimo dl carattere ritmico è per il bambino una straordinaria fonte dl piacere: esso è, come ha messo bene in chiaro Karl WeIss (8), l’atto del poppare e del succhiare, intimamente connesso alla prim. attività istlntuale infantile, alla cosiddetta fase orale a. Rimandiamo ai lavori dl Freud (9) e di Abraham (10) intorno alle fasi pregenitali dello sviluppo istintuale per una completa descrizione di questa fase, limitandoci per ora ad additare l’elemento ritmico autonomo in essa ravvisabile. Se il piacere del ritmo può ricondursi alle prlmissime (fasi dello sviluppo infantile, o forse persino più indietro, allo stato cioè prenatale, circa altrettanto può dirsi dei placere, inerente alla rima e al ritornello, secondo dei tre elementi che ci siamo proposti dl studiare. Che in questo secondo elemento al faccia valere quasi sempre il piacere riunito, è l’evidenza stessa: ma esso può incise considerarsi indipendentemente d. questo: come puro piacere, cioè, inerente alla ripetizione di determinati suoni del linguaggio verbale. Il citato Karl Weiss muove a questo proposito alcune interessanti considerazioni, facendo notare come le stesse prime parolette del bambino al foggino secondo una tendenza alla ripetizione: prima tra tutte quella della sillaba ma, composta dai due suoni primordiali ottenlblil a bocca chiusa (m) e a bocca aperta (a): si forma così la parola “mama” o “mamma”, comune a moltissimi e diversissimi popoli. La ripetizione degli atti e dei suoni è altresì condizione indispensabile per lo sviluppo dell’Io infantile, per il considerarsi del suo “criterio di verità”, e in genere per l’evoluzione e l’accrescimento dei suoi rapporti col mondo esterno. Da un punto di vista filogenetico possiamo bene immaginare che lo sforzo dell’Urmensch per introiettare il mondo esterno (secondo il modo arcaico di concepire il possesso) dovette consistere nell’imitare e ripetere oralmente i suoni più tipici dalla natura circostante (e da qui prende ovviamente origine l’aspetto onomatopeico del linguaggio tanto dei primitivi come del bambini); sia un punto di vista ontogenetico si osserva che il bambino ripete molte volte le parole che via via impara, sia seguendo in tal modo I suoi istinti dl possesso e di dominio rispetto al mondo esterno, sia dando sfogo al desiderio dl “giocare” con le parole, secondo un comportamento già ravvisato dal Freud (11), da lui ricondotto al piacere più generale di “ritrovare il già noto” (ossia alla coazione a ripetere), ma altresì indubbiamente legato all’istintualità orale. Molti esempi a conferma di quanto abbiamo sin qui accennato riguardo al ritmo e alla rima potrebbero venire arrecati anche considerando la vita dei selvaggi o certe manifestazioni nevrotiche (ripetizioni ad infinitum di un suono, di una parola, di una frase, ecc.): un’ampia letteratura, analitica e non analitica, polrebb’essere consultata al riguardo (12). Ciò che particolarmente ci colpisce, peraltro, è il. fatto che nelle nostre ricerche intorno all’origine del ritmo e dalla rima siamo arrivati per vie diverse all’istintività orale: per il ritmo, riconducendolo tra l’altro anche alla prima esperienza infantile del poppare e del succhiare; per la rima, riportandoli all’iniziale tendenza a ripetere I suoni, che diviene poi nel bambino un modo particolare di procurarsi piacere. Se , pensa ora che il terzo elemento da noi indicato come tipico della poesia è quello di esprimersi per via verbale, ci troviamo portati a dare la massima importanza all’oralità, nella creazione poetica, e ad approfondire ulteriormente il problema in questo senso. Più oltre, considereremo anche il piacere connesso all’audizione, che, se pure importante ai nostri fini, non è certo così essenziale alla poesia come lo è per la musica, e può quindi essere provvisoriamente messo da parte.
Emilio Servadio
(1) Eine Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci, in Gesammelte Schriften, IX, p. 452. Cfr. anche la prefazione al Poe, di MARIE BONAPARTE, Parigi 1933, e lo studio Dostojewski und dio Vatertötung, in Ges. Schr., XII, p. 7 segg.
(2) Specialmente in: Formulierungen uber die zwei Prinzipien des psychischen Ceschehens (Ges. Schr., V, p. 415-416);. Vorlesungen zur Einfuhrung in die Psychoanalyse (Ges. Schr., VII, p. 390-391) ; Totem und Tabu (Ges Schr., X, cap. 3 p. 111; cap. 4, p. 187); e nel saggio Der Dichter und das Phantasieren (Ges. Schr., X).
(3) 0. RANK: Der Kdnstler, Vienna 1907, n. ed. 1925; K. ABRAHAM: Giovanni Segantini, Vienna l9l1; E. LAFOEGUE: l’echee de Baudelaire, Parigi 1933; M. BONAPARTE: Edgar Poe, 2 voI., Parigi 1933; ecc. Cfr i numerosi studi di minor mole apparsi nelle riviste speciali, soprattutto Imago e Die psychoanalytische Bewegung. Una bi bliografia assai ricca è nell’opera – altrimenti non molto significativa – . di CH. BAUDOIN: Psychanalyse de l’art. Parigi 1929.
(4) H. SACUS Kunst und Personlichkeit in Imago, XV (1929), fase. 1, p. 1 segg.
(5) Cfr. anche, ma con cautela, W. STEKEL: Dichtung and Neurose, Wiesbadcu 1909. Sulla creazione poetica come ultimo meraviglioso risultato di una lunga serie di processi -per gran parte inconsci, dr. W. MUSCHC: Dichtung als archaisches Erbe, in Imago, XIX (1933), fasc. 1, p. 99, segg.
(6) F. C. PRESCOTT: Poetry and Dreams, in journal of Abnormal Psychology, VII (1912), nn. 1 e 2. Cfr. W. STEKEL: Die Traume der Dichter, Wiesbaden 1912.
(7) In The British Critic, vol. XXIV, 426. Cit. dal PRESCOTT.
(8) K. WEISS: Von Reim und Refrain, in Imago, lI (1913), fase. 6, p. 552 segg..
(9) Drei Ahandlungen zus Sexualtheorie, in Ges. Schr., V.
(10) K. ABRAHAM: Versuch einer Entwicklungsgoschichie der- Libido, Vienna 1924; ma particolarmente: Untersuchungen uber die fruheste pragenitale Entwicklungsstufe der Libido in Internat. Zeitschr. f. Psychoanalyse, IV (i916) fasc. 2, p. 71 segg. In questi ultimi anni, tutto il problema della « fase orale » è stato ripreso e approfondito specie da diversi psicoanalisi del gruppo inglese: M. KLEIN, E. JONES, i. RIVIERE, M. BRIERLEY, S. PAYNE, ecc. Cfr. In particolare M. KlEIN: Die Psychoanalyse des Kindes,. Vienna 1932; e i lavori apparsi nell’ultimo decennio In The International Journal of Psycho-Analiysis.
(11) Der Witz and seine Beziehung zum Unbewussten, In Ges. Schr., IX. Cfr. E. Servadio: Il motto di spirito, in Rivista Italiana dl Psicoanalisi, II (1932), fas. 4, p. 256 segg.
(12) Cfr., p.es., A. METTE: Uber Beziehungen zwischen Spracheigentumlichkeiten Schlzophrener und dichterischer Produktion, Dresda 1928.