Ingenua e a volte sconcertante la pubblicità di tipo americano
Il Tempo 26/10/1959

Da qualche anno, alcune ditte italiane hanno ritenuto di dover « aggiornare » la loro pubblicità, per adeguarla ai canoni della più avanzata e scaltrita tecnica d’oltre oceano. Quali siano questi nuovi canoni è abbastanza noto. In primo luogo, ci sono le risultanze della psicologia sperimentale, per cui è dimostrato, per esempio, che il contrasto del giallo e del nero è assai meglio percepito che non quello del bianco e dell’azzurro, o del grigio e del rosa. In secondo luogo, ci sono le inchieste di massa, che verificano la maggiore o minore sensibilità del pubblico a questo o quel tipo di propaganda. In terzo luogo, ci sono le valutazioni delle cosiddette « variabili indipendenti » (stagione, ora del giorno, momento politico), che anch’esse condizionano in vario modo l’affermazione di un prodotto, o quella di un’ideologia… E si potrebbe continuare.
Tutto questo fa parte, ormai, di un modo scientifico non più approssimativo di concepire e di dirigere la propaganda, e non c’è se non consentire e bene applicare. Ma ciò che sembra aver colpito in modo particolare certi nostri industriali o commercianti, e avere ispirato i loro uffici di pubblicità, è il principio dell’avvicinamento individuale, del cosiddetto personal touch. Un invito pubblicitario redatto in termini generali e collettivi rischia – così si pensa – di non sollecitare il narcisismo del singolo, il suo desiderio di essere distinto dai gregge, selezionato, riconosciuto. Una circolare in cui si dica « Bevete l’aperitivo X.Y. » non è efficace. Bisogna rivolgersi al signor Tizio mostrando che lo si conosce come persona di gusto, che si sarebbe onorati del suo consenso, e che l’aperitivo X. Y. obbedisce per l’appunto a quei criteri che il destinatario, giustamente, considera come i soli a cui un preparato del genere debba corrispondere… Il tutto, espresso in tono rispettoso ma cordiale, deciso ma amichevole…
Lo schema non fa una grinza, e si deve ammettere che in vari casi ha funzionato e funziona a dovere. C’è però, in questa tecnica, una piccola clausola implicita, che i manuali di psicologia della pubblicità di solito non indicano: la necessità che la persona a cui così ci si rivolge non si senta ingannata o presa in giro. Mentre nessuno si adombra se legge un cartellone con la scritta « Le persone eleganti vestono abiti PAC », il privato cittadino che riceve a domicilio una lettera pubblicitaria, nella quale si dichiara che la ditta PAC si rivolge personalmente a lui, desidera, in primo luogo, che ciò sta vero.

Tecnica errata

Ma possiamo dire, in genere, che così sia? Un piccolo esempio pratico dimostrerà che le cose, purtroppo, stanno spesso molto diversamente.
Una fabbrica, supponiamo, di cappelli, fa giungere al mio indirizzo una busta che chiunque può aprire, perché non è incollata ed è affrancata come « stampa ». Sulla busta è impressa in nero la parola « Riservata ». Sotto, in corsivo e sempre a stampa, è l’indicazione « Urgente », in rosso.
Prima ancora di aprire la busta, io mi sento vagamente preso per il bavero. « Riservata », una lettera che qualsiasi persona può leggere senza commettere alcuna violazione di segreto epistolare?! « Urgente », una circolare a stampa giunta nel tempo consueto delle stampe, e che il mittente non si è sognato dl affrancare né come lettera normale, né, tanto meno, come lettera « espresso »?!
Ma vediamo l’interno. C’è, anzitutto, un foglio scritto apparentemente a macchina (ma si tratta di carta stampata, e non certo di una lettera battuta apposta). Qua e là, sottolineature – sempre a stampa – che imitano quelle che potrebbe fare una penna intinta in inchiostro rosso. La firma è in finto corsivo stilografico, d’altro colore.
La lettera comincia in tono gioviale: « Caro Amico, mi rivolgo personalmente a Lei e (la parola « Lei » è sottolineata in finto inchiostro rosso), « perché intendo assolutamente farLe un gran favore » (sottolineatura in rosso come sopra).
A questo punto, è probabile – che io ne abbia già abbastanza, e che spedisca la missiva – nel cestino. « Amico »?! Ma – dove? ma quando mai?… E – Lei, illustre sconosciuto che i mi chiama «amico», vorrebbe « assolutamente » fare un « gran favore » a me?! Ma come può pensare che io ci creda? Ma mi prende proprio per un allocco?…
Se invece non ho perso la pazienza, e continuo ad esaminare l’interno del plico, trovo che il firmatario, sempre in tono affabile e giocondo, mi propone di acquistare da quattro a sei cappelli – oltre a un nuovo copricapo per mio uso e consumo – « appositamente fabbricato per Lei » (sottolineatura in rosso c.s.) « dalle nostre maestranze ». Questi quattro o sei cappelli saranno inviati ad altrettanti miei amici o conoscenti, dei quali sono invitato a fornire nome, cognome, indirizzo e giro di testa. Se saranno quattro, avrò il mio cappello con il 50 per cento di sconto. Se saranno cinque, lo pagherò meno della metà. Se saranno sei, lo avrò completamente gratis (sottolineatura in rosso c.s.). La lettera contiene un P.S.: «Non invii denaro. Penseremo noi a tutto». (Sì, magari a mandarmi gli uscieri a domicilio se per caso, a conti fatti, non potessi sdebitarmi…)
Sono allegati parecchi moduli, e una busta per la risposta. Il firmatario mi scongiura di rispondere in ogni modo, adoperando uno dei due speciali bollini sui quali sono scritte, rispettivamente, le sillabe « Sì » e « No ». A questo punto mi accorgo che il tagliandino con il grosso, evidentissimo « Si » è ben staccato e subito adoperabile; quello con il microscopico e sbiadito « No » è quasi incollato alla carta: per farne uso, bisognerebbe lavorare di pazienza e di unghie, e ricorrere poi al vasetto della colla…
E tutto questo sarebbe propaganda psicologica ultramoderna ed efficace, personal touch, ottemperanza ai più sperimentati dettami della pubblicità americana!
Molti anni fa Georges Duhamel, nelle sue Scènes de la vie future (un libro che contiene molte ingiuste critiche, ma anche qualche acuta osservazione sulla vita collettiva americana), dichiarava che un certo tipo di pubblicità era addirittura offensivo, in quanto sembrava presupporre una pressoché totale mancanza di discernimento in colui o colei a cui si rivolgeva. Duhamel al riferiva particolarmente a slogans come: « Al vostro benessere é necessaria una otto cilindri », oppure: « Le amiche vi giudicano guardando anzitutto se il vostro naso è lustro ».

Sciocco inganno

Ma quasi altrettanto offensiva appare una pubblicità che vi batte metaforicamente sulla spalla, vi chiama « amico », sostiene di volervi beneficare, eccetera, eccetera: e che si rivela, anche al più credulo degli osservatori, come una banconota falsa, con visibilissime filigrane d’ipocrisia.
Dopo aver ricevuto una comunicazione « personale » come quella descritta, è probabile che il destinatario cerchi rifugio e compenso in qualcuna delle vecchie frasi niente affatto scaltrite di qualche decennio fa: « Volete la salute? Bevete, eccetera »; « A dir le mie virtù basta un sorriso »; « Il nostro purgante rispetta il vostro intestino »; simili.
Un eccellente conoscitore della vita americana, Giuseppe Prezzolini, avvertì una volta – e molti ancora lo ricordano – che nulla poteva essere più sciocco, e inviso agli stessi Americani, che una pedissequa imitazione di ciò che si fa negli Stati Uniti. Il fatto che molti Americani amino masticare gomma, o indossare camicie vistose, non è ragione sufficiente perché si debba fare altrettanto. Può darsi che a loro, o ad altri, non dia fastidio ricevere finte lettere dattilografate a due o tre colori, in cui il destinatario è chiamato «amico mio», e in cui si dichiara dl pensare giorno e notte alla sua felicità. Ma da noi, a conti fatti, questi sistemi rischiano di essere altrettanto indisponenti o fuori luogo quanto in America ilbaciamano, o il sonnellino nel pomeriggio.
Emilio Servadio

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