Luna Park
Rivista Italiana di Psicoanalisi, anno II, fasc. I, 1933

Un significativo spettacolo presentava, tempo addietro, un Padiglione del grande Luna Park di una città dell’Italia settentrionale. Contrariamente ai soliti «tiri a segno», provvisti di bersagli di cartone o di gesso, con premi agli ottimi puntatori, la baracca in questione non offriva se non una serie di vecchie bottiglie, di casseruole, di oggetti di terracotta sbocconcellati : tutti appesi al soffitto per mezzo di robuste cordicelle. I frequentatori, pagando una modica somma, avevano diritto di tirare delle pesanti pallottole di legno contro i fragili oggetti, fracassandoli e polverizzandoli. Le bottiglie e le terrecotte sbriciolate venivano sostituite man mano da altre, relativamente in miglior stato. Le palle di legno sbattevano contro un fondale di lamiera, aggiungendo colpi secchi come fucilate al fracasso dei cocci e dei vetri infranti.
Il padiglione era frequentatissimo, ed era facilmente constatabile la gioia con la quale i convenuti compivano la loro opera distruttiva, d’altronde innocua. Un gran cartello d’imbonitura avvertiva trionfale:

FINALMENTE! ALMENO QUI SI PUO’ ROMPERE TUTTO!

L’elemento aggressivo inerente a vari giuochi da fiera era stato già notato da parecchi scrittori (ricordiamo, di sfuggita, le sconfortate notazioni di Octave Mirbeau nelle prime pagine del Jardin des Supplices). Non ci era però mai accaduto di scorgere tale elemento cosi chiaro e cosi esplicitamente confessato. Dove si vede che anche passando per un Luna Park si possono desumere delle conferme ai punti di vista psicoanalitici… appunto perché tutto quel che è espressione umana può trovare nella psicoanalisi un contributo esplicativo maggiore o minore.

Emilio Servadio

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