Testimonianza di Emilio Servadio
Rivista di Psicoanalisi n 1 – 1932

«Avevamo vegliato tutta la notte, i miei amici ed io…». Così ha inizio il primo Manifesto del Futurismo, redatto da F. T. Marinetti, e apparso nel 1909.
Certo, assai poco di comune con il Futurismo, e con le sue pubblicazioni, aveva all’inizio il movimento psicoanalitico italiano, e avevano le pubblicazioni a cui esso ha dato vita, se non i seguenti punti: eravamo un piccolissimo gruppo, al pari di Marinetti e dei suoi amici; sapevamo di essere «avveniristi», ossia di anticipare eventi e consensi culturali che prima o poi – ne avevamo la certezza – si sarebbero verificati. Questo è ciò che era nelle nostre menti, quella sera dell’autunno 1931, quando Edoardo Weiss, e i suoi più immediati discepoli e collaboratori, decisero di dar vita alla Rivista Italiana di Psicoanalisi.
Fu, in verità, una quasi incredibile prova di coraggio. In quella stessa sera (ottobre 1931), fu decisa la «riorganizzazione” della Società Psicoanalitica Italiana, la cui vera nascita ebbe luogo nel 1932, mentre quella fondata nel 1925 da Marco Levi-Bianchini era stata nulla più che un pio desiderio. Tra i primi «Soci Ordinari» furono annoverate persone che non avevano alcuna seria preparazione psicoanalitica, e che non ebbero poi alcun rilievo nella storia della psicoanalisi. Se si rileggono i loro nomi, a p. 79 del primo numero della Rivista Italiana di Psicoanalisi, tale osservazione appare più che comprovata. In realtà, i veri «Soci Ordinari» della Società Psicoanalitica Italiana non furono all’inizio più di 5 sui 10 elencati. E questi cinque decisero baldanzosamente – come si può leggere alla predetta p. 79 – «di fondare la presente rivista, di tenere delle riunioni scientifiche per i soci e di organizzare nell’avvenire delle conferenze e dei corsi di psicoanalisi».
In certi ambienti «ufficiali» della cultura italiana, tutto ciò fu considerato farneticazione o aberrazione, come si può rilevare da ciò che scrissero proprio in quei tempi alcuni notissimi esponenti della predetta cultura. Sempre nel primo numero della Rivista Italiana di Psicoanalisi, ad esempio, è possibile leggere ex-cerpta degli articoli di Francesco Flora e di Guido De Ruggiero, apparsi rispettivamente nella Nuova Antologia e nella Critica diretta da Benedetto Croce. Oggi, a una rilettura, i predetti articoli appaiono – quelli sì! – farneticanti e aberranti, e costituiscono una prova luminosa di ciò che è noto da gran tempo in psicoanalisi: del fatto cioè che le «resistenze» possono provocare le più incredibili storture di giudizio e di comportamento in persone anche intelligentissime e colte – come erano senza dubbio Francesco Flora e Guido De Ruggiero.
Eppure, ciò che poteva sembrare progetto senza fondamento, o speranza vana, si realizzò. La Rivista Italiana di Psicoanalisi si pubblicò regolarmente per due anni – con notevole sacrificio di tempo, di energia e di denaro da parte di coloro che a essa si dedicarono. Inutile, in questo preambolo, menzionare i principali articoli e saggi che vi apparvero: ognuno può sfogliare, leggere, valutare. Due sole osservazioni mi sembrano tuttavia importanti. In primo luogo, il fatto che nelle pagine della Rivista figurano, accanto ai contributi italiani, quelli di illustri psicoanalisti stranieri; in secondo luogo, il fatto che nella Rivista fu pubblicata, quasi contemporaneamente all’edizione in tedesco, una delle opere più note e innovatrici di Freud: le «Nuove Lezioni introduttive alla psicoanalisi», uscite poi subito dopo in volume.
La presente ristampa della Rivista Italiana di Psicoanalisi – ormai pressoché introvabile nell’edizione originale – era quanto mai opportuna per molte ragioni quasi ovvie, e che non potranno non apparire evidenti a qualsiasi psicoanalista, psicologo, psichiatra, o persona di cultura. Ma a tale, più generale merito dell’iniziativa, è da aggiungerne uno in particolare: quello della «risurrezione» di due numeri della Rivista – gli ultimi – che furono bensì regolarmente stampati, ma che non fu possibile mettere in circolazione perché le autorità del tempo non diedero il loro «nulla osta» ai fascicoli, i quali rimasero pertanto in possesso di pochissimi. Ricordo che stampammo anche il secondo dei due, sempre sperando che l’autorizzazione arrivasse… Ma ciò non accadde, e la Rivista Italiana di Psicoanalisi cessò di apparire. La psicoanalisi cominciava a dare veramente fastidio ai politici, e non essendo possibile – allora – colpire gli uomini, fu colpita la loro «voce” principale al livello pubblico. Il «clima” del fascismo imperante si faceva sempre più reazionario, l’opposizione da parte di certi ambienti ecclesiastici a varie «novità» culturali era più dura, né potevano certo essere «dalla nostra» la filosofia idealistica di Croce e di Gentile, i De Ruggiero, i Flora… Era già in atto il nazismo in Germania – e ben si sa quello che ne seguì, e come la psicoanalisi europea ne fu colpita.
Nella mia mente di vecchio pioniere, la ripubblicazione della Rivista Italiana di Psicoanalisi desta ricordi in grande numero, emozioni, rimpianti… Ma fa sempre piacere all’anziano agricoltore vedere che la seminazione non è stata vana, e che la pianticella che gli è costata fatiche e sofferenze di tutti i generi si è sviluppata in albero gigantesco, splendente quando c’è il sole, e impervio ormai a qualsiasi bufera.

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