Quattro casi di «lapsus»
Rivista di Psicoanalisi n.1 – 1932

I. Il primo dei casi che riferiremo in succinto è il «lapsus calami» di un grande scienziato che tutti stimiamo e veneriamo, il Richet. Questi, nella sua ultima opera (L’avenir et la prémonition), enuncia la distinzione da lui adottata nel classificare una serie di casi di premonizione: «prima», egli scrive, «darò le premonizioni che io stesso ho osservato… poi quelle narratemi da persone che conosco personalmente… infine quelle ricordate nei libri». Il RICHET molto giustamente antepone alle altrui le proprie osservazioni, come quelle che per lui hanno un particolare valore, e sulle quali ha potuto farsi una più precisa opinione. D’altra parte, però, egli vuole scusarsi presso il lettore, e dichiarare che le proprie osservazioni non valgono certo, in assoluto, più delle altrui… E scrive riguardo a queste ultime:
«Les Dieux me préservent de croire qu’elles valent mieux que les miennes!» (p. 58), anziché moins, come evidentemente era sua intenzione.
Il più vero pensiero del RICHET (quello cioè che le sue osservazioni avessero maggiore importanza che non quelle degli altri) si è dunque palesato proprio nella frase che intendeva esprimere il contrario. E – ciò che fa apprezzare maggiormente il valore di questo magnifico «lapsus» – l’errore ha resistito ad almeno due correzioni di bozze, per non parlare della revisione del testo originale.
2. (caso riferito personalmente). Un giovane era (o si credeva) profondamente adirato con una fanciulla, che da vario tempo era con lui in relazione. Cercando di esprimere, nella foga del discorrere, la necessità di una separazione definitiva, egli uscì in questa frase:
«È meglio, molto meglio che io me ne vada per conto suo e che lei se ne vada per conto mio…».
L’analista poté facilmente arguire, da questo «lapsus”, che lo sdegno del giovane sarebbe stato passeggero…
3. (caso riferito personalmente). Il giovane A. aveva molta simpatia per la signorina Y, ma questa non gliela ricambiava affatto. Durante una escursione di X in alta montagna, la signorina Y lo accompagnò, insieme a vari altri amici comuni. Giunti al rifugio, da dove X doveva proseguire per compiere l’ascensione, questi chiese alla signorina il permesso di fotografarla. La signorina rifiutò, dicendosi peraltro disposta a farsi fotografare insieme ad altre persone. X eseguì la fotografia, e dopo qualche minuto partì. Era in cammino da poco più di un quarto d’ora, quando si accorse di aver lasciato al rifugio l’apparecchio fotografico (del valore di circa 700 lire). La guida che lo accompagnava si offerse di andarlo a riprendere, ma X rifiutò con noncuranza, dicendo che la macchina si sarebbe certamente ritrovata.
Naturalmente al ritorno l’apparecchio non si ritrovò, e le ricerche successive non ebbero esito. X non si preoccupò gran che di questa perdita, e le indagini furono più che altro compiute da persone amiche e dai famigliari.
È chiaro, in questo caso, che X aveva trasferito sull’apparecchio fotografico il disappunto di non aver potuto ritrarre la sola signorina Y. Se si pensa al significato e all’importanza che la psicoanalisi attribuisce al ritratto, si apprezzerà ancor di più il vero senso dell’accaduto. Giova inoltre osservare che solo parecchio tempo dopo, allorché fu passato il breve capriccio, X si meravigliò di aver dato così poca importanza alla perdita di un oggetto di un certo valore, da lui posseduto già da diversi anni. Ma la spiegazione, come si è detto, è di una singolare chiarezza.
4. (caso riferito personalmente). Parlando di volumi legati offertigli in dono, e da lui non molto apprezzati, Z dice frettolosamente a chi glie ne domandava :
«Sì, sì, ho ricevuto quei legumi…».

Emilio Servadio

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