Sul meccanismo psichico delle allucinazioni telepatiche
Luce e Ombra 1933

Una delle forme più frequenti e più note della telepatia spontanea (assai più raramente di quella sperimentale) è la forma allucinatoria, o che si presume tale. E’ cosa risaputa che la riduzione francese dell’opera Phantasms of the Living, di Gurney, Myers e Podmore, reca appunto il titolo Les hallucinations télépathiques. «Estensione arbitraria», scrive con buon fondamento il Sudre (1), «poiché l’esperienza ci mostra che i fantasmi non sono tutti quanti delle allucinazioni, ma hanno bensì un’esistenza obiettiva, dovuta alla facoltà teleplastica dell’individuo ». Più oltre, però, è il Sudre stesso a compiere un’estensione arbitraria, e precisamente allorché dichiara (p. 124) di respingere la teoria allucinatoria dei « fantasmi dei viventi» e classifica senz’altro il fenomeno tra quelli della medianità fisica. Questo è a nostro avviso un errore ancora più pericoloso del primo. Sta di fatto che l’opinione del Gurney era decisamente nel senso della modalità allucinatoria, e che in parecchi casi la soggettività della visione telepatica fu ampiamente provata. Non è certo arbitrario affermare che i casi in cui vi sono state forti presunzioni a favore dell’obiettività del fantasma sono una piccola minoranza in confronto a quelli in cui è doveroso optare per l’ipotesi allucinatoria. Fatta dunque la debita parte ai casi di «fantasmi obiettivi» (casi in cui sarebbe più rigoroso parlare di « teleplastia » o di « bilocazione », anzichè di telepatia), ci occuperemo qui soltanto di quelli in cui la visione ha avuto carattere soggettivo-allucinatorio, e che costituiscono a nostro avviso la grande maggioranza.
Nella sua forma paradigmatica, un fenomeno telepatico in forma allucinatoria potrebbe esprimersi così: A, parente o amico di B, corre un gravissimo pericolo o sta per morire; nello stesso momento, o con breve intervallo di tempo, B scorge improvvisamente l’immagine di A, e spesso ne desume che ad A dev’esser successo qualcosa di terribile, che forse egli è morto. Questa forma è quella più generalmente assunta dai casi di telepatia spontanea, sia che la visione si abbia durante il sonno, sia ch’essa appaia nella veglia o nel dormiveglia. Più raramente l’allucinazione assume forme diverse da quella visiva, e in questo caso la comunicazione si esplica per lo più per via auditiva. Esamineremo più oltre il problema se possa darsi il caso di vera allucinazione telepatica qualora la comunicazione abbia un contenuto indifferente, ed altre questioni connesse alle diverse varietà che può assumere il fenomeno.

Per quanto si tratti, come si è accennato, di una delle forme più note e frequenti in cui si estrinseca la telepatia spontanea, l’allucinazione telepatica, nel suo meccanismo, è risultata sinora un enigma, e sembra anzi contraddire con altri accertamenti anche sperimentali. Le difficoltà teoriche ad essa inerenti sono state ottimamente prospettate dal Bozzano, in un suo recente saggio (2). Osserva il Bozzano che mentre nelle esperienze di « trasmissione del pensiero » e di « fotografia del pensiero » viene trasmessa l’immagine dell’oggetto o della persona cui pensa l’agente, nel caso della allucinazione telepatica avviene l’inverso, ossia il percipiente vede, anziché la propria immagine (sulla quale soltanto, com’è naturale, può caso mai essersi fissato l’agente), quella dell’agente stesso. Tale circostanza è appunto quella che ha fatto inclinare studiosi come il Hyslop, il Myers, e più recentemente anche il Sudre, verso l’ipotesi della proiezione di un quid obiettivo, della telepatia, della bilocazione: ipotesi che lo stesso Bozzano considera applicabile soltanto a casi eccezionali e quindi da respingersi in massima. Pur dichiarando di non poter risolvere questo difficile problema, il Bozzano si rifà alla propria fondamentale distinzione fra « trasmissione di pensiero » e «telepatia propriamente detta », e conclude che nel secondo caso non si tratta più, come nel primo, di « un semplice automatismo inerente alle funzioni dell’organo del pensiero», m di un’azione « dipendente dalla volontà subconscia (ma cosciente nella propria sede) dell’agente telepatico. Questi si manifesterebbe dunque al percipiente obiettivando la propria immagine allo scopo di annunciargli, nel modo simbolico che gli è il solo possibile, la sua morte imminente, o il decesso proprio allora avvenuto ».
Ma evidentemente, anche per poter accettare questo punto di vista generico del Bozzano, occorrerebbe ammettere: a) che in ogni caso di allucinazione telepatica vi fosse l’intenzione, da parte della «volontà subconscia» dell’agente, di avvertire il percipiente della propria situazione di pericolo o del proprio decesso; b) che l’immagine proiettata dall’agente avesse pur sempre un certo carattere obiettivo; altrimenti, perché la visualizzazione da parte del percipiente? Messe comunque a parte tali difficoltà, il Bozzano non si nasconde che la questione rappresenta una «perplessità enorme», e non considera gli anzidetti suoi apprezzamenti come una vera e propria soluzione dell’arduo quesito.

Per cercare, non diciamo di risolverlo appieno, ma di illuminarne qualche aspetto,. dovremo rifarci teoricamente ab ovo. Ammessa l’allucinazione telepatica come prototipo dei fenomeni spontanei di telepatia, dobbiamo anzitutto vedere, al lume dei più recenti studi di fisiologia e di psicologia, che cosa sia un’allucinazione. Giacché gli studiosi che hanno affrontato il problema hanno in genere trascurato la questione che a noi sembra la più importante: se e in quanto, cioè, la «allucinazione telepatica» somigli alle allucinazioni della psicologia normale ed anormale, e se e in quanto il meccanismo di queste sia estensibile a quelle.
Nel suo articolo magistrale sulle allucinazioni pubblicato dalla «Encyclopaedia Britannica» (3), William McDougall accenna alla distinzione fondamentale tra illusioni e allucinazioni: le prime, egli scrive, sono « quelle false percezioni in cui le impressioni che colpiscono l’organo di senso hanno una parte preponderante nella determinazione del carattere di ciò che vien percepito », mentre le seconde sono quelle « in cui qualsiasi impressione del genere manca, oppure ha una parte puramente sussidiaria, e non presenta alcuna evidente relazione con il carattere del falsamente percepito». In base appunto a questa definizione delle allucinazioni, il Richet respinge, nel suo Traité, il termine di «allucinazioni telepatiche» e gli preferisce quello di « monizioni ». Vedremo meglio più oltre come egli abbia preso un po’ troppo alla lettera il carattere soggettivistico del fenomeno allucinatorio e abbia trascurato le eventuali, « impressioni sussidiarie » cui accenna lo psicologo inglese. Questi prosegue ricordando fra l’altro come anche le persone sane possano occasionalmente (sebbene di rado) esser soggette ad allucinazioni (il 10 % sul totale dei casi, secondo il Census of Hallucinations curato dalla S.P.R.); quali siano empiricamente le forme generali di allucinazione, e quali gli stati in cui più di sovente esse occorrono. Questi sono, riassuntivamente: a) la stanchezza sensoriale causata da stimoli troppo a lungo protratti; b) la condizione monoideistica prodotta dalla fissazione di un cristallo o simili; e) la fame o la sete intense; d) le condizioni psichiche indotte da certe droghe; e) il dormiveglia; f) il sonno (poiché i sogni non sono altro che una classe di allucinazioni); g) l’ipnosi; h) le condizioni estatiche e gli stati monoideistici analoghi. Inoltre, gli stati propriamente patologici come disfunzioni viscerali, alcoolismo acuto o cronico accompagnato da delirium tremens, certe psicosi e psiconevrosi.
Il McDougall espone quindi i principali punti di vista fisiologici in merito alle allucinazioni: punti di vista sui quali non ci dilungheremo, poiché si tratta di processi ancora molto oscuri e poiché il correlativo fisiologico del meccanismo psichico allucinatorio è pur sempre, a nostro avviso, di secondaria importanza di fronte a quanto si può dire al riguardo in sede psicologica (4). Ci basti menzionare che (secondo il McDougall) la base anatomica della percezione e della rappresentazione di ogni oggetto essendo un sistema funzionale di elementi nervosi, cui vengono trasmessi gli stimoli, sia direttamente che indirettamente, dall’esterno (caso della percezione) o dall’interno (caso della rappresentazione), se un gruppo di questi elementi, per un motivo o per l’altro, diventa anormalmente eccitabile, può deviare qualsiasi corrente d’impulsi, provenienti dagli organi di senso, dalla loro mèta (per la minor resistenza ch’esso presenta in confronto agli altri gruppi), e conferire così un carattere di percettibilità a ciò che non l’avrebbe, per l’assenza di un’adeguata impressione sugli organi di senso. Senza entrare in maggiori particolari circa questa teoria, osserveremo che evidentemente la via « esogena » mostrata dallo studioso inglese non è la sola possibile, e che può benissimo ammettersi che la corrente d’impulsi segna una via «endogena», indipendente in tutto o in parte dagli stimoli esercitati sugli organi di senso. Vedremo poi più oltre come neppure i punti di vista del Tanzi, che anch’essi prescindono dal lato psicologico del problema, possano darci molta più luce sull’argomento che qui c’interessa.

Le indagini psicoanalitiche, del Freud anzitutto, e poi di alcuni suoi seguaci, hanno invece recato un contributo notevolissimo allo studio psicologico del fenomeno allucinatorio. Esporremo con una certa ampiezza il punto di vista analitico, che è anche il nostro, in quanto si tratta di nozioni in parte nuove e non ancora del tutto sistematizzate.
Secondo il Freud l’allucinazione è l’espressione di una esigenza psichica, quasi sempre del tutto inconscia, la quale proviene da quella parte della personalità psichica – fonte impersonale delle manifestazioni istintive – che si è convenuto di chiamare l’« Es » (pronome neutro tedesco di terza persona) in contrapposizione all’Io, che costituisce invece la parte più evoluta e « bonificata » di tale personalità. L’Es non conosce che il «principio del piacere», e tale caratteristica mantiene dalla nascita dell’individuo sino alla sua morte; è peraltro tenuto a freno (non sempre con successo, e non sempre coscientemente) da altre istanze della personalità psichica, che gli contrappongono il «principio della realtà » e che sono sensibili alle esigenze morali e sociali, del tutto ignote all’Es. Come si comporti l’Es quando l’Io non è ancora formato, possiamo vederlo nella vita del bambino. La prima fase dell’Io infantile è quella che Paul Federn ( 5) ha indicato col termine di «Io egocosmico», e nella quale l’infante non fa distinzione tra l’Io e il mondo esterno; per lui esiste soltanto ciò che è via via percepito, e le sue prime soddisfazioni avvengono in forma allucinatoria. Nel saggio intitolato Formulierungen über die zwei Prinzipien des psyehischen Geschehens (1911) (6) il Freud ha menzionato esplicitamente questa soddisfazione allucinatoria del bambino, la quale ben presto si dimostra illusoria, e quindi cessa perchè in contrasto col «principio della realtà» che si va affermando. Il comportamento del neonato è però soltanto una conferma di quanto risulta attraverso lunghe indagini cliniche e analisi di pazienti: che cioè il modo di comportarsi dell’Es rimane anche nell’adulto del tutto infantile, irrazionale, inadeguato alle esigenze della società e della morale. Gl’impulsi inconsci provenienti dall’Es urgono costantemente verso la realizzazione, e solo potenti « controcariche» inibitorie valgono (e non sempre) a impedire questa realizzazione. Uno degli esempi persuasivi di tale modo di comportarsi dell’Es ci è offerto appunto da quella forma tipica di allucinazioni che sono i sogni. Nello stato di sonno, allorché le inibizioni si allentano, l’individuo si trova provvisoriamente nella stessa condizione in cui è abitualmente un pazzo allucinato; l’Es riprende il sopravvento, le allucinazioni si susseguono, e il loro contenuto risulterebbe del tutto conforme alle esigenze dell’Es, se anche qui non si opponesse una certa somma di inibizioni (« censura onirica ») le quali in parte deformano, in parte obliterano al risveglio il contenuto onirico, per impedire che l’equilibrio psichico venga turbato. Quanto avviene nel caso del sogno avviene anche negli altri casi. Ogni qualvolta le inibizioni, per un motivo o per l’altro, si allentano, il modo primitivo, arcaico, allucinatorio di soddisfazione riprende il sopravvento. Che la mancata allucinazione sia l’effetto di un’inibizione e che, come scrive il Weiss (7), « se tale inibizione non esistesse (come non esiste nei sogni ed in molte forme di psicosi), le allucinazioni si presenterebbero continuamente a falsare la realtà esteriore », è concetto, che enunciato dal Freud in sede psicologica, trovò poi conferma nella nota teoria (su base anatomo-fisiologica) delle allucinazioni formulata dal Tanzi un anno dopo (8). Anche per quanto concerne il lato «topico» del meccanismo allucinatorio le conferme alla teoria freudiana non sono mancate. Scriveva infatti il Freud nel 1900 (Traumdeutung): «Ciò che accade nel sogno allucinatorio non possiamo descriverlo altrimenti che dicendo ciò che segue: l’eccitamento prende una via retrograda. Anziché propagarsi verso l’estremità motoria, esso ritorna verso quella sensitiva e giunge infine al sistema delle percezioni sensoriali. Chiamando la direzione secondo cui il processo si compie nello stato di veglia col nome di progressiva, siamo autorizzati a dire del sogno che esso ha un carattere regressivo ». Ed ecco come si esprime il Tanzi nel saggio citato: « basta immaginare che, sotto l’impero di tali condizioni (patologiche, o insolite come quelle del sonno) le vie omolaterali e controlaterali, che mettono dai centri di sensazioni al centro di rappresentazione, acquistino la proprietà di lasciarsi percorrere in senso inverso, e che ciò non avvenga mai in condizioni fisiologiche, per dare una spiegazione soddisfacente a tutte le specie di allucinazione. Noi possiamo pensare che l’allucinazione nasca come un’idea od un simbolo od un frammento più o meno cosciente d’idea nella regione associativa; ma in luogo di associarsi ad altre idee o di proiettarsi all’esterno come movimento, essa refluisca, o lungo le stesse fibre omolaterali e controlaterali di dov’era venuta, o in altro modo da ricercarsi, ai centri di sensibilità (la cui era immigrata quand’era sensazione. Così essa ridiventa ciò che era: una sensazione; ma una sensazione di inarca patologica per l’insolita origine.
Questa forza d’espansione retrograda, che inverte il rapporto abituale tra i centri sensoriali e il centro rappresentativo, è dunque il contrassegno morboso che determina l’individualità dell’allucinazione sia come fenomeno psicologico, sia come sintomo clinico».
Ma ognun vede come questa conferma valga solo in quanto conferma; giacché mentre la teoria del Freud ci appaga compiutamente per quanto concerne il determinismo psicologico della allucinazione (riconnesso come si è visto alla prima morfogenesi della psiche infantile), i punti di vista limitati alla sfera anatomo-fisiologica ignorano tale determinismo: il «perchè» di questa via retrograda degli eccitamenti resta infatti, nella teoria del Tanzi, senza risposta.
Rinviando alla Traumdeutung freudiana per un ulteriore approfondimento, come pure al saggio citato del Tanzi, menzioneremo qui ancora che la tipica regressione allucinatoria è, secondo il Freud, e come riassume il Dalma ( ), « di natura triplice: topica per quanto riguarda la localizzazione nel sistema psichico; cronologica, poiché si tratta di un ritorno a formazioni psichiche onto-e filogeneticarnente anteriori; formale, poiché dei meccanismi rappresentativi, di natura più primitiva, sostituiscono quelli più evoluti».
Ciò che occorre particolarmente ritenere è, ad ogni modo, questo: che «generalmente si dovrebbe allucinare, le indagini e i ricordi dovrebbero avere un carattere allucinatorio. Se questo non avviene, lo si deve ad un processo inibitorio, che ha un’importanza essenziale per il rapporto dell’Io con la realtà esteriore» (Weiss, cit.).
Vediamo ora, se e in qual modo si possano applicare nel campo della telepatia le nozioni testé ricordate.

Confidiamo anzitutto che quanto abbiamo sin qui esposto valga a richiamare energicamente parecchi studiosi alla considerazione della tipica, squisita soggettività delle allucinazioni telepatiche in generale (salve le eccezioni più sopra ammesse, che costituirebbero però in sostanza classi di diversi fenomeni). Infatti si assiste, da parte di vari indagatori anche assai colti ed acuti, a un processo assai curioso di «spostamento» : da un lato si ammette che l’allucinazione telepatica è soggettiva, poiché vien percepita soltanto dall’individuo interessato; dall’altro però l’idea meccanicistica della «spedizione» di un «messaggio» finisce per far considerare anche l’immagine come un qualche cosa di «spedito »; mentre caso mai la «spedizione» potrà concernere un determinato stimolo, trasmesso in via paranormale; non già l’immagine allucinatoria, poiché di allucinazione si tratta, la quale dovrà pur essere un prodotto psichico endogeno del percipiente. Altrimenti, ripetiamo, non si tratterebbe più di allucinazione, e si verrebbe meno alle premesse. Se si ammette (come taluni sembrano ammettere) che l’agente trasmetta un «simulacro», una «forma fluidica», o simili, si ricade nell’a oggettivismo » che abbiamo respinto, e che contrasta in genere col fatto che la «visione a ha carattere individuale, sicché altri all’infuori dell’interessato non la percepiscono.
Resta ben fermo, dunque, che la produzione dell’immagine allucinatoria a carattere telepatico va studiata in modo speciale nei confronti del percipiente. Che cosa possa eventualmente «spedire» l’agente, noi non lo sappiamo. Si tratterà magari di un’immagine, ma tale ipotesi ci sembra troppo superficiale (10); riteniamo invece più logico pensare che si tratti di una «vibrazione» di carattere ancora ignoto, che si comunichi da inconscio a inconscio; oppure (forma che il Hyslop e il Bozzano chiamano di telemnesia) che l’agente sia propriamente colui che percepisce l’immagine, che cioè il suo inconscio abbia attinto dall’inconscio altrui l’informazione apparentemente telepatica. Il problema è comunque quello del modo in cui lo stimolo telepatico si trasforma in immagine allucinatoria; e a questo proposito dovremo fare ancora alcune considerazioni supplementari.
Da ciò che abbiamo detto circa la teoria generale delle allucinazioni, emergono due elementi di massima, comuni tanto al processo allucinatorio quanto a quello della telepatia spontanea. Si tratta del carattere inconscio di entrambi i meccanismi e del fattore affettivo che si fa valere nell’uno come nell’altro. Circa il primo, abbiamo visto che nell’allucinazione sono in giuoco forze dell’Es inconscio, cui si contrappongono altre forze, in modo anch’esso quasi generalmente privo di coscienza; e parallelamente, che la «spedizione » del messaggio telepatico (o se si vuole la sua «captazione» da parte del percipiente), e la relativa ricezione, avvengono, nei casi di telepatia spontanea, senza la partecipazione della coscienza (la quale nel percipiente non agisce se non come ultima ratio; e di necessità, poiché altrimenti del processo telepatico non sapremmo mai nulla). Il carattere inconscio della telepatia spontanea risulta chiaro pensando a quali sono le condizioni più favorevoli per il ricevente (sonno, dormiveglia e stati affini): condizioni, cioè, in cui la coscienza è parzialmente o totalmente obnubilata. Quanto al fattore affettivo, esso risulta chiarissimo tanto nel caso dell’allucinazione quanto in quello della telepatia spontanea: nella prima si tratta di impulsi affettivi poderosi che cercano una soddisfazione nella forma più immediata (e in casi particolari l’ottengono); circa la seconda è ben noto che la massima parte dei casi spontanei di telepatia si svolgono tra persone legate da stretti vincoli affettivi: parenti prossimi, congiunti, amici. Ricorderemo ancora di sfuggita che la difficoltà maggiore che s’incontra allorché si cerca di fare della telepatia sperimentale è appunto quella di avvicinarsi alle condizioni in cui si svolge quella spontanea; poiché è quasi impossibile riprodurle esattamente, e occorre accontentarsi di ripieghi e di espedienti vari.

Ci siamo avvicinati così al nocciolo del problema. Abbiamo messo in chiaro, sinora, la soggettività delle allucinazioni telepatiche, la necessità di uno stimolo che colpisca l’inconscio e determini l’allucinazione, il carattere generalmente affettivo di questo stimolo. Resta ora da considerare: a) perchè tale stimolo produca l’allucinazione dell’immagine dell’agente (o comunque, della persona lontana dal percipiente); b) perchè tale stimolo riesca ed eludere le inibizioni, e riconduca momentaneamente il percipiente ad una condizione primitiva, infantile di espressione psichica. Tali sono i punti più importanti da risolvere. Altre questioni secondarie affronteremo più oltre, una volta superati questi ultimi due ostacoli.
Per comprendere il primo punto, dobbiamo riferirci ad uno scambio di idee da noi avuto con l’amico dott. Edoardo Weiss, e ad alcuni suoi concetti, non ancora resi di pubblico dominio, sull’importanza dell’immagine nella vita psichica, specialmente inconscia. Tale importanza risulta del resto già evidentissima sol che si pensi alla storia delle arti figurative, a quella delle religioni, alla funzione del «ritratto », in ogni sua forma, nei rapporti familiari e sociali.
Come abbiamo visto esponendo riassuntivamente la teoria psicoanalitica delle allucinazioni, l’Es mostra in varie circostanze (soddisfazioni allucinatorie infantili, allucinazioni nelle psicosi, sogni) la sua «facoltà di creare ». Il contrasto fra il principio del piacere », proprio dell’Es, e il «principio della realtà», dimostra inoltre che l’Es non sa distinguere in nessun caso la realtà dall’immaginazione, identifica completamente realtà psichica e realtà materiale.
Ma questa realtà materiale deve pur distinguersi da quella psichica; e quindi l’Io si contrappone all’Es, le inibizioni impediscono alle allucinazioni di falsare continuamente la realtà.
D’altra parte, l’Es – non conoscendo che il principio del piacere – è incapace di rinunzie. In quale forma dunque – si chiede il Weiss – può l’Io appagarne le esigenze, impedire l’allucinazione? In due modi: o attraverso una conoscenza intellettuale, un sapere (comunicato dall’Io all’Es) che l’oggetto desiderato esiste (sapere che secondo il Weiss può essere però anche di natura telepatica, o ricevere conferme per via- telepatica); oppure per mezzo di un ((risarcimento », che consiste nell’immagine dell’oggetto, la quale può assumere varie forme (introiezione e identificazione nei confronti dell’oggetto, sua riproduzione materiale, ecc.). Entrambi questi modi – in base a minuziose osservazioni e deduzioni compiute dal Weiss possono tacitare l’Es e impedire l’allucinazione.
Possono, ma non devono. Può darsi che il processo non riesca, o che il risultato così raggiunto venga turbato. In tal caso l’Es – che come abbiamo detto è incapace a rinunciare riprende il sopravvento e provoca l’allucinazione. Di solito, peraltro, l’Io ben presto ristabilisce la propria funzione, e l’allucinazione scompare per effetto delle nuove inibizioni.
Ma come può venire a mancare l’equivalente della persona desiderata dall’Es? Il Weiss ha considerato soprattutto i casi in cui l’immagine viene lesa o distrutta. Dato che l’Es non fa distinzione tra realtà psichica e realtà materiale, la lesione o la distruzione dell’immagine lo spinge immediatamente a una nuova creazione nella forma allucinatoria che gli è propria, e fa fallire il «modo» compensativo offerto dall’Io. Tale lesione o distruzione può aversi in varie forme (il Weiss ha studiato particolarmente l’equivalente costituito dalla colpa, per cui il colpevole allucina l’immagine del padre severo che lo condanna, dell’amico ucciso, ecc. ecc.). Gli stati emozionali sono naturalmente i più adatti per far fallire il risarcimento dell’Es da parte dell’Io, e per produrre l’allucinazione.
Teoricamente, il Weiss ammette che l’equivalente della persona desiderata, o rispettivamente quello della sua immagine allucinatoria, può venire a mancare perchè l’Io non può più porgere all’Es il suo «sapere» che tale persona esiste: in tal caso però non si sconfina necessariamente nell’allucinazione (si hanno peraltro dei casi di psicosi allucinatoria da lutto), poiché la via intellettualistica, razionale, che la notizia negativa percorre per giungere all’Es, permette in genere alle inibizioni di schierarsi opportunamente, e di dare all’Es una serie di soddisfazioni diverse, che in Psicoanalisi sono state particolarmente studiate specie per quanto concerne il cosiddetto «lavoro del lutto» (Trauerarbeit).
Anche intorno a questi interessantissimi punti di vista del Weiss potremmo dilungarci con altre considerazioni confermative; ma preferiamo rimandare il lettore all’opera, che vedrà fra non molto la luce, del nostro collega e amico (11), nella quale tali concetti vengono esaurientemente esposti e convalidati. Quanto abbiamo riassunto ci sembra però sufficiente a risolvere, o per lo meno a chiarire, il primo dei due quesiti teorici più sopra formulati. Infatti i casi tipici in cui il «sapere» che la persona cara esiste, o in cui l’immagine di essa custodita nell’inconscio vengono menomati o distrutti senza che l’Io ne abbia notizia, sono proprio quelli in cui l’evento triste o luttuoso che colpisce il parente o l’amico vien comunicato telepaticamente all’inconscio del percipiente. Il coefficiente della «sorpresa », il fatto cioè che lo stimolo proviene per via endogena (forse anche indipendentemente dal carattere emotivo di questo), basta ad affievolire o ad annullare le inibizioni, e il processo ricreativo dell’Es, ossia l’allucinazione, ha libero modo di prodursi. Le condizioni sono praticamente le stesse che nei casi studiati dal Weiss, con la sola differenza che nel caso della telepatia lo stimolo all’allucinazione giunge per via paranormale. Sono identici invece i fattori dell’emozione, dell’offesa all’immagine cara custodita nell’inconscio, dell’affievolimento delle inibizioni, e infine della « soluzione » in forma allucinatoria, la quale dura sinché il meccanismo delle inibizioni non riesce a ristabilirsi. Ciò in tesi generale: s’intende poi che i casi singoli possono presentare caratteristiche diverse: può darsi, p. es., che l’attenuarsi delle inibizioni non sia sufficiente perchè si verifichi una vera e propria allucinazione, o che non sia sufficiente l’impulso proveniente dall’Es in seguito allo stimolo ricevuto. Ma ciò non toglie valore alla teoria. Come non le toglie valore il fatto che si possono avere comunicazioni telepatiche (sebbene, si noti, assai più di rado, e forse mai, per quanto ne sappiamo, in forma allucinatoria allo stato di veglia) a contenuto non triste, senza offesa d’immagine: poiché il «modo» allucinatorio è proprio del sogno, e quindi qualsiasi visione onirica è in un certo senso allucinatoria (sebbene il Freud osservi acutamente che un sogno telepatico non potrebbe chiamarsi un vero e proprio sogno, bensì un evento telepatico nello stato di sonno). Dato che possa darsi una simile allucinazione vendica allo stato di veglia. Occorrerà invece vedere se non si tratti di chiaroveggenza, o di quella forma particolare di chiaroveggenza che è la «telemnesia»; benché, come abbiamo detto, il caso sia probabilmente poco più che teorico.
Al secondo quesito, perchè lo stimolo telepatico riesca ad eludere le inibizioni e a provocare l’allucinazione, abbiamo già risposto incidentalmente più sopra. Qualora la notizia triste e luttuosa venisse comunicata al percipiente attraverso le comuni vie sensoriali, certo l’allucinazione non si produrrebbe, perchè le inibizioni avrebbero il tempo di sistemarsi e di reagire all’esigenza dell’Es, che verrebbe diversamente compensato. Ma lo stimolo elide le inibizioni in quanto giunge di sorpresa all’inconscio, per via paranormale, telepatica, cosicché le controcariche inibitorie non hanno il tempo di porsi in azione, e solo possono reagire in un secondo momento.

Restano ora da esaminare brevemente alcuni problemi connessi a quelli sin qui considerati, o meglio alcune difficoltà teoriche eventualmente prospettabili contro la nostra tesi. Ci si osserverà anzitutto che la visione allucinatoria del percipiente è talora assai elaborata e particolareggiata, che talora l’immagine dell’agente appare insieme all’ambiente in cui il fatto triste o luttuoso si è prodotto, che tal’altra l’immagine parla o sembra parlare al percipiente, che tal’altra ancora l’allucinazione è soltanto auditiva, ecc. ecc.: tali modalità, ci verrà obiettato, non sembrano conciliabili con la teoria della proiezione dell’immagine da parte dell’individuo che riceve la comunicazione. Risponderemo che – come giustamente osserva il Bozzano nel saggio citato – le modalità della comunicazione telepatica sono in se stesse ancora molto enigmatiche, che non sappiamo affatto se e quanto quel quid misterioso che costituisce lo stimolo telepatico possa influire sulla visione, modificandola, rinnovandola, foggiandola in modi ignoti anche alla psicologia analitica; e che inoltre è una questione teorica tuttora aperta quella dei rapporti fra la metagnomia e la telepatia, tantoché taluni studiosi (p. es. il Richet) tendono a far di questa un caso particolare di quella. Se aderissimo al punto di vista del Richet, p. es., non sarebbe arrischiato (e anzi a nostro avviso è questa la ipotesi più comprensiva e razionale) concepire lo stimolo telepatico quale una sorta di catalizzatore psichico, il quale, commuovendo profondamente l’inconscio dell’individuo, ne ponesse in azione talune facoltà criptoestesiche, in modo da consentire al tempo stesso la proiezione di un’immagine in forma allucinatoria (in ottemperanza alle esigenze dell’Es) e la visione, allucinatoria o anche solo mentale, di varie circostanze in rapporto con l’evento: oppure quest’ultima soltanto, nei casi di ricezione telepatica da sconosciuti, o avente un contenuto non drammatico (casi, però, in cui la forma allucinatoria, allo stato di veglia, ci sembra come abbiamo detto eccezionalissima o da escludersi). In realtà molto vi è da lavorare ancora nel campo di cui noi abbiamo considerato solo una zona; mentre per quanto si riferisce alle allucinazioni telepatiche vere e proprie, crediamo che difficilmente potranno sollevarsi serie obiezioni al nostro punto di vista. Evidentemente noi non pretendiamo di aver dato qui la soluzione di tutti i quesiti inerenti alla metapsichica soggettiva, e neppure di quelli che riguardano la conoscenza paranormale! E’ chiaro, poi, che un’obiezione relativa ai fenomeni di cosiddetta allucinazione telepatica collettiva (inesistente, secondo il Richet, poiché si tratterà sempre, in simili casi, di illusione o di visione reale, e non di visione allucinatoria), o a quelli in cui l’immagine ha dato, o avrebbe potuto dare, prove tangibili della sua concretezza fisica, non avrebbe ragion d’essere, poiché si tratterebbe qui di fenomeni sostanzialmente diversi da quelli da noi esaminati. Senza negare la possibilità teorica dei casi di bilocazione o di quelli di proiezione del « corpo astrale », o « doppio eterico » che dir si voglia, ci sentiamo però autorizzati a dire che tali casi non rientrano in quelli di allucinazione telepatica, come non vi rientrano se non aderendo alla tesi integrativa da noi proposta quelli di telestesia o telemnesia in forma allucinatoria. Occorrerà ricordare, insomma, prima di passare all’esame critico della tesi qui prospettata, che effetti simili possono esser prodotti da cause diverse.

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Riteniamo con ciò di aver esaurito il nostro assunto, che era di indicare quella che ci sembra l’unica soluzione logica e razionale di uno dei problemi teorici più imbarazzanti che si siano proposti sinora agli indagatori dei fenomeni mentali della Ricerca psichica. Non escludiamo di poter perfezionare ulteriormente le nostre vedute in proposito, se nuovi fatti o nuovi risultati dottrinali ce ne offriranno l’opportunità.
EMILIO SERVADIO

1) Introduction à la Métapsychque humaine, Parigi 1926, p. 119.

2) Considérations et hypothèses an sujet des phénornènes télépathiques, in « Revue Métapsychique » . 1933, n. 3.

3) 14° edizione, s. v. Hallucination.

4) Lo stesso può dirsi per molti altri processi psichici, ad es. per l’ipnotismo.

5) Das Ich als Subjelet und Objekt und Narzissmus, in « Internat. Zeitschr. für Psychoanalyse «, XV, 4.

6) Gesamm. Schr., V.

7) Elementi di psicoanalisi, Milano 1933, 2 ed., p. 20.

8) Una teoria delle allucinazioni, in Riv. di Patol. nerv. e ment., VI (1901), fasc. 12.

9) Considerazioni sulla concordanza esistente fra alcune tesi della dottrina psicoanalitica ed alcuni dati della psicologia sperimentale, in Arch. gener. di neuropatol., psichiatr. e psicoanalisi, VII (1926), p. 154 segg.

10) Questa ingenua concezione ha, strano a dirsi, antecedenti assai antichi: secondo Democrito la sensazione era prodotta da una specie di emanazione proveniente dagli oggetti, e nel caso della visione gli afflussi erano rappresentati da sottili copie delle cose da cui derivavano: copie che Democrito chiamava appunto “piccole immagini”. Coloro che concepiscono lo stimolo telepatico come prodotto da una « piccola immagine » si riallacciano dunque senza saperlo a una concezione psicologica quanto mai elementare e superata ….

11) La psicologia della coscienza.

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